IL RISCATTO DI LINGUAGROSSA |
Tutte
le città hanno nella loro storia un momento così importante che periodicamente
viene ricordato con grande partecipazione. Viene ricordato per perpetuarne la
memoria, sia esso felice oppure no, ma è importante che ciò avvenga perché aiuta
a crescere. Fra i tanti avvenimenti storici che hanno segnato la storia di Linguaglossa,
certamente il passaggio da città soggetta al dominio feudale a città inserita
tra le città demaniali, è il momento più importante perché finalmente poteva
dichiararsi libera.
Era
il 13 giugno 1634.
Prima
di arrivare al 13 giugno 1634 è bene ricordare alcuni momenti della storia che
precedettero e produssero la scelta dei cittadini di Linguagrossa nel chiedere
il riscatto dalla baronia feudale e passare al Regio Demanio.
Nel
1336 Linguagrossa insieme con Castiglione aveva chiesto al Re Martino
d’Aragona di ridursi alla ‘Regia fidelitati’: "Supplica et
peti la dicta universitati qui la dicta terra di Castigluni sia et digia essiri
reducta et aggregata a lu Regiu demaniu si comu era de primu... supplica et peti
la dicta Universitati qui tutti li homini di la dicta terra e di Linguagrossa
pozzanu haviri et ricuperari li cosi loru mobili stabili et possessioni tantu
quilli qui annu in la dicta terra et casali et loru territoriu quantu in altra
parti non obstanti que disianu facti concessioni ad altri. Placet predictis
Regis magestatibus".([1])
Il
re Martino invece di concedere la riduzione diede la terra al ‘Notaro
messinese’ Nicolosio Crisafi. La famiglia Crisafi ebbe il dominio feudale
sulla terra di Linguagrossa fino al 1568.
Popolazione scomoda quella dei linguagrossesi,
infatti dopo i Crisafi in appena quaranta anni si succedono ben tre famiglie nel
dominio della città, quella di Stefano Cottone, quella di Bartolomeo Patti ed
infine nel 1606 la famiglia di Orazio Bonanno.
Nella
chiesa di Sant’Egidio, allora Chiesa Madre, splendente d’affreschi e sotto
lo sguardo del Santo Ateniese, il 14 febbraio 1606 Don Orazio Bonanno giurò di
rispettare le ‘Consuetudini della Città di Linguagrossa’. Il 31
maggio 1607 il Bonanno ricevette l’investitura delle terre di Linguagrossa:
“Tenentis dictam baroniam et terram Linguaegrossae pro se suisque heredibus et
successoribus in perpetuum".([2])
Trascorse
appena un anno e i linguagrossesi non sopportando ulteriormente gli “aggravii
et molestii” del novello barone chiesero al Viceré Principe Emmanuele
Filiberto la riduzione al Regio Demanio dichiarandosi disposti a pagare quanto
necessario al Bonanno, il quale già aveva offerto 4.000 scudi per comprarsi il
mero e misto imperio: "Illmo et Excmo Signore. Li Giurati, Sindaco et tutti
citatini et habitatori di la terra di Linguagrossa exponino a V.E. che dopo che
D. Horatio Bonanno novo barone prese possesso della baronia et terra preditta,
di continuo sono stati et stanno patendo li cittadini di quella alcuni aggravii
et molestii insopportabili, conforme per l’altri memoriali, l’exponenti
l’hanno representato a V.E., et che per liberarsi di una tanta servitù si
resolsiro recaptarsi et darsi al Regio Demanio, con che detta terra omni futuro
tempore sia per Sua Maestà, con haver offerto far servitio a S.M. scuti
quattromila per il mero e misto imperio restato anche per S.M., stante
l’offerta di detto Barone per la compra di quello per poterli più vexare et
maltrattare...".([3])
Quando
una terra feudale otteneva la reluizione al Demanio, veniva liberata dal dominio
feudale, ma per essere libera doveva pagare al barone una certa somma, quasi un
riscatto, in modo da compensarlo della perdita del feudo; ottenuta la riduzione
tale terra non veniva più annoverata fra le terre feudali, ma entrava a far
parte del parlamento; poteva così eleggere i propri ufficiali, rappresentanti,
giurati e giudici, e mandava un proprio rappresentante nel Braccio Demaniale del
Parlamento Siciliano; con la riduzione al Regio Demanio Linguagrossa andò ad
occupare il 41° posto.
La
petizione però non sortì effetto alcuno. In cambio il barone per ingraziarsi
sia il re sia i cittadini iniziò nel 1613 la costruzione di una Chiesa Madre più
grande. La popolazione cresceva, e superava in quegli anni i tremila e
cinquecento abitanti.
Il
Bonanno però continuò gli “aggravii et molestii” continuando
oltretutto a chiedere la concessione del privilegio del mero e misto imperio, il
quale per le veementi proteste dei linguagrossesi non venne mai concesso. Però
il Bonanno riuscì nel 1625 ad ottenere il titolo di Principe di Linguagrossa
con il dominio feudale e tutti i privilegi dati da alcune leggi e consuetudini.
Il privilegio reale della concessione del titolo di Principe venne dato in
Madrid il 6 Giugno 1625, ma divenne esecutivo in Palermo il 6 Febbraio 1626
tramite il Cardinale Giannettino Doria, Luogotenente del Regno per la morte del
Principe Filiberto di Savoia: "Cum tu, illustris consanguinee noster Don
Horati Bonanno et Iuenio, baro terrae Linguaegrossae, nobis supplicare feceris
un in dicta terra Linguaegrossae, quam in nostro ulterioris Siciliae regno in
fedum a nobis et a nostra regia Curia tenere et possidere asseris, te ad
Principatus apicem avehere regia nostra benegnitate dignaremur, Nos… facimus,
constituimus atque in perpetuum reputamus, terramque ipsam Linguaegrossae atque
illius membra et districtus principatus titulo et honore insignimus".([4])
Ma
Linguagrossa ritornò ancora una volta a richiedere la riduzione al Regio
Demanio, e forse perché il Bonanno ormai stanco di una Terra che non lo voleva
e che lo osteggiava in tutti i modi, riuscì questa volta nell’intento.
Nell’atto
di riduzione al Demanio sono indicati e riferiti gli ordini del Tribunale del
Patrimonio, le petizioni e le deliberazioni del Consiglio dal 1608 in poi, la
sentenza dell’8 agosto 1633 del Tribunale della Gran Corte, il deposito della
somma unciarum viginti unius mille centum
quatuor e l’immissione del 30 marzo 1634 del Delegato in possesso.
Molto
importante è l’atto d’immissione in possesso per la riduzione a città
demaniale: "Hodie, die qui supra apparet, fuit nomine Sue Catholice
Maestatis et Regie Curie per dictum eius officium et per me Hieronimum Balsamo
actuarium Bance Trib. M.R.C. et offitii predicti, positus, indictus atque
immissus (D. Martinus de Prado Delegatus in causa) in veram, vacuam, liberam et
expeditam, realem, naturalem et legitimam possessionem terre, baronie et
principatus Linguegrosse, cum vassallagio eiusque Secretiis, dohanis, gabellis,
iurisdictione civili et criminali et aliis in ea existentibus et pertinentibus,
site et posite in valle Nemorum, confinantis cum territoriis terrarum
Castrileonis et Calatabiani, cum eius integro et indiminuto statu eorumque
legitimis pertinentiis universis, omnia includendo et nihil excludendo, et hoc
per introitum et exitum in maiori Ecclesia terre predicte sub titulo dive Marie,
et per affixionem armorum et insignium Sue Catholice Maestatis in janua ecclesie
predicte, ac per introitum et exitum in publicis carceribus huius predicte
terre, et per aperturam et clausuram ianue ipsorum carcerum, in eis vexillum,
insignia et arma sue Catholice Maiestatis erigendo et extollendo, per affixionem
supradictorum armorum et insignium predicte Sue Catholice Maestatis in
cantoneria ipsorum carcerum et aliis locis publicis terre predicte, tollendo
prius arma et insignia dicti illustris Principis, per deambulationem in terra
predicta, per conductionem per dictam terram vexilli, insignium et armorum
predicte Sue Catholice Maestatis cum timpanis, tubicinis, campanarum sonitu et
luminibus accensis, maximo populorum concursu, pro letitia clamantium,
vociferantium et decentium sepe sepius et multoties Viva il nostro re di Spagna,
per promulgationem Bannorum, per privationem officialium eorumque novam
creationem, per jactuam lapidum et per alia signa ipsam veram, vacuam, liberam,
expeditam, realem, actualem, corporalem, civilem, naturalem et legitimam
possessionem denotantia et facientia".([5])
Con la sentenza del Tribunale della Gran Corte dell’8 Agosto 1633, Linguagrossa veniva ridotta al Regio Demanio, ma doveva passare
ancora un anno prima che tale sentenza venisse ratificata ed il 13 Giugno 1634
Linguagrossa venne resa libera e annoverata fra le terre demaniali.
D.
O. M.
REGNANTE
FILIPPO QUARTO
REDEMPTA FUIT
CIVITAS LINGUAE
GROSSAE
ANNO
DOMINI 1634
EXISTENTIBUS
COSMO
CARGANO –
SIGISMUNDO
STAGNITTA
- PAULO
TARASCONA
ET
SINDICO V - I - D
MARCO
ANTONIO STANCHANELLI
ANNO CCCL
POST DOMINOS
FEUDALES
EXACTOS
ANTONIO
FELICE STAGNITTA
CIVITATIS
PRINCIPE SENATUS
POPULUSQUE
LINGUAGLOSSENSIS
DECORA MAIORUM
FACTA
MEMORANS
MELIORAQUE
EXOPTANS
SCRIPSIT POSUITQUE
A. D: MCMLXXXIV
ID. IUNIIS
Lapide in marmo del 1984 posta nella Sala Consiliare a
ricordo del 350° anniversario della reluizione al Regio Demanio.
La
sentenza statuiva: "Ihesus. Provisum est per Magnam Regiam Curiam facto
verbo E.S. quod facto deposito tam pretii integri, pro quo processit vendictio
diete terre et baronie Linguegrosse, ac solutis pecuniis, expensis factis per
quondam D. Horatium Bonanno pro habendo titulo Principatus super dieta baronia,
ac pretio omnium bonorum allaudialium, que babet dictus Princeps in dicta terra
et baronia, que remaneat per dictam Universitatem, et benefactis que sunt, et
omnibus aliis expensis factis pro causa dicte baronie, et hoc infra menses sex
quoad liquida vel interea liquidanda, et pro non liquidis prestito in forma cum
primum liquidabuntur, infra eumdem terminum, declaretur prout declaramus
competere prelationem, et preferatur Universitas prout eam nos preferemus, et
reducatur ad regium Demanium".([6])
Anche
il re Filippo IV venne a conoscenza della riduzione al Regio Demanio di
Linguagrossa infatti in una sua lettera del 12 maggio 1634 scriveva al Vicerè:
“El Rey. Illustre Duque primo de mi Consejo de Estado, Virrey del Reyno de
Napoles y mi Lugarteniente y Capitan General en el de Sicilia. Hase recibido
vuestra carta de 30 de enero, en que me days quenta como las ciudades de
Carlentin, y Lingua grossa se han reducido al Regio Demanio, rescatandose ellas
mismas à su costa, y que Francavila, y Tusa piden lo mismo…".([7])
Con
la riduzione al Demanio Linguagrossa ottenne anche alcuni privilegi da parte del
Viceré Afan de Ribera.
I privilegi concessi a Linguagrossa nella sua riduzione al Regio Demanio
furono 16:
1.
In primis vulgariter loquendo pro magis intelligentia fatti, che la
suddetta terra di Linguagrossa da oggi innanzi, et in perpetuum et infinitum sia
città, e se li concede, ed à nome di città, dell’istesso modo et forma
dell’altri città di questo Regno di Sicilia con facoltà di potere usare
l’insegni d’armi Regii, et quelli poterli usare il Capitanio, e Iudice della
città, Iudice dell’appellazione, li quattro Giurati soliti essere in detta
città, Mastri Notai di Capitanio di Giurati ed Appellazioni.
2.
Item che detti officiali debbiano essere cittadini etiam per deductionem
uxoris, et commoranti cum domo et famiglia in dicta città, con che si debbe
aver l’occhio a preferirsi li detti officiali cittadini ed altri che si hanno
operato a detto universale beneficio d’aver redatto la detta terra al Regio
Demanio, e si abbia da fare scrutinio per li Giurati, Sindaco, Arciprete, Priore
et vicario del Carmine e Correttore di S. Francesco di Paola, Capitanio e
Secreto, e nominarsi quattro persone per ogni officiale eligendo abile e
sufficiente di buona vita e fama, ita che l’officiali erigendi avessero vacato
all’istesso uffizio per biennium ed in altro offizio per annum; e tale
scrutinio si debba fare nella Maggiore Chiesa nel giorno della Concezione della
Beata Maria Vergine, et quello si debba trasmettere a S.E. ad altius per insino
al primo d’Aprile per potersi poi fare la creazione al primo di maggio, e per
poter prendere possessione detti Giurati e Maestro Notaro per potersi fare le
provisioni debite per la detta Università, et in quanto ad altri officiali al
primo di settembre.
3.
Item che la detta città possa vendere l’officio di Maestro Notaro di
Capitanio e gabellarlo ogni anno al più offerente, quali officiali di Maestro
Notaro così del Capitanio come di Giurati et Appellazione per essere officii di
comando, non debbiano stare a sindicato.
4.
Item che succedendo S.E. creare officiali in essa città che non siano
cittadini, che non li debba dare possesso di detti officii e consultare con
S.E., et facendo il contrario sia in pena quello che li darrà detta
possessione, e così quello che la riceverà, di unzi 200 applicandi al Regio
Fisco e di privazione d’offizii.
5.
Item che li Giurati possano conoscere tutte le cause civili di unzi
quattro abbasso inclusive.
6.
Item che il Capitanio e Giudice della Corte Capitaniale succedendo essere
accusati persone loco principis alla Regia Corte, etiam che l’accusatori
fossero pupilli, vedove ed altre privilegiate persone, per delitti gravi ed
enormi, non comparendo fra termino di giorni vinti nella detta Regia Gran Corte,
numerandi detti giorni vinti dal giorno di dette accuse, detto Capitanio e soi
Iudici possano liberamente provvederle d’escarcerazioni, e come li parirà di
giustizia, non ostante altro ordine viceregio obtenendo il contrario, e cossì
anco li possono provedere subito, caso che li detti accusati obtenessero
cessioni di liti dall’accusatori.
7.
Item che in essa città non possono resedere Compagnie di Soldati
Spagnoli, nè Italiani, ne altre Compagnie d’altre nazioni, ne di Cavalli
legieri, ne di Capitan d’Arme, solamente possano sedere giorni tre conforme
alla Regia Prammatica, quale Capitan d’arme non possono conoscere detti
Cittadini se non nel discorsi di campagna, e fora d’essa Città, et non per
altre Cause, ne in detta Città.
8.
Item che il Capitanio e Iudice di detta città per li furti minimi di
unza una abbasso che si committiranno in detta città et suo territorio, senza
violenza, possa castigarli eciam con pena di frusta, metterli li latri al
collaro, o a loco pubblico e farli portare a cavallo per tutte le strade
pubblici con le cose arrobbati addosso, per timore dell’altri.
9.
Item che tutte le lettere che si emaneranno da S.E., Regia Gran Corte o
altro Tribunale si debbano prima presentare nella banca d’essi Giurati, per
vedere se tendino contra li Privilegi d’essa città a quella concessi, e
tenendo l’abbiano di consultare e non eseguire, sotto pena di unzi cento al
controventore, e questo etiam che fossero fatti al Capitanio d’arme.
10.
Item che tutti li responsali che si faranno per li cosi che s’avranno
da extraere d’essa città e a suo territorio, etiam per extra regnum,
s’abbiano da fare per il Secreto e Credenzero di essa città, e quelli
debbiano essere cittadini come sopra.
11.
Item che li Cittadini, ed Abitatori di quella, non possono essere
estratti da detta Città per qualsivoglia Civile o Criminale, tanto nel primo
quanto nel Secondo Giudizio, etiam ad istanza di Persone Privilegiate.
12.
Item che li Cittadini di detta Città siano franchi di Dogana, tanto in
essa città, quanto per tutto il regno.
13.
Item che tutte le sprete pene d’injunzioni, di plegerie, banni e
confiscationi di beni, che hanno occorso et occorreranno a farsi dal giorno
della possessione presa a nome di Sua Maestà, abbiano ad essere di detta
Università fin tanto che sarranno redempte le rendite subiugate per la
reuizione d’essa città, e da poi la redemptione di quelli, siano della Regia
Corte.
14.
Item che non possa vendere l’officio di Secreto d’essa Città, ma
resti per essa Città, e presertim non li possa levare a Vincenzo d’Agustino
durante la sua vita, che al presente esercita detto Officio, per aversi
travagliato molti anni per la riduzione d’essa Città al Regio Demanio e per
essere Persona meritevole a detto Officio essere di pubblica utilità, e questo
s’intenda concesso fattone prima avvisato S. E. del Regio Patrimonio e Sua
Catolica Maestà, ed essendo confermato per detta S.C.M. e domentri non è
confermato, e concesso per Sua Catolica Maestà detto Officio di Secreto, resti
per detta Regia Curia.
15.
Item perchè essi Giurati, e Sindaco non avendo denari perla reluizione
d’essa Città, ne trovando persone che volessero comprare tante bolle a
ragione di cinque per cento fa bisogno ottenere Licenza di S: E: di potere
subjugare a ragione di setti per cento, come subiugarono
per lo Capitale di scuti cinquanta tremilia, e quello si depositao, e si
redusse detta Città al Regio Demanio, e S. E. primise farli venire conferma di
S. M. che dette bolle s’avessero potuto subiugare a ragione di 7: per cento,
perciò domanda a S.E. facci venire detta conferma di detti Subiugazioni.
16.
Item che l’Elezioni e presentazione della Bazia di S. Catarina di detta
Città che prima solea fare il Principe, l’abbia di fare per l’avvenire per
essa Città, e questo s’intenda concesso fattone prima per S. E. a detto Real
Patrimonio avvisato a S. C. Maestà, e volendo così S. C. Maestà domentri non
sarrà concessa, e confermata detta elezioni da farsi per detta Città, resti, e
si debbia fare detta Elezioni per S. E.
Linguagrossa
pur di sottrarsi alla Podestà Baronale e così ridursi al Regio Demanio
contrasse una soggiogazione annua di onze 147, tarì 12, grana 2 e piccoli 2 per
un totale di 21.104 onze con:
Don Antonino Spatafora onze 77.
Da. Anna Rizzo, Spatafora onze 224.
Francesco Cicalà
onze 728.
Dr. Dn. Francesco Antonio Costa
onze 70.
Giovanni
Tuccari
onze 153.
D. D. Mario Giurba
onze 28.
D. Giovanni Arces
onze 59.
D. Giuseppe Romeo, e Federico
Aragona e Sardo
onze 126.12.2.2.
Giacomo Maria, e Da.
Flavia
Spinola Scarcella
onze
10.15.
Onze
147.12.2.2.
La
soggiogazione venne stipulata il 22 febbraio 1634 presso il Notaio Grecorio
Comunale di Messina e nell’atto vennero ipotecati i seguenti beni: “Il fondo
detto li Comuni Due Molini in pertinenza di Fiumefreddo. il Bosco di Ragabo nel
Monte Etna. La Cabella ossia il prodotto di essa di tarì sei per ogni Salma di
frumento che si moliva. Tarì tre per ogni salma di frumento che produceasi nel
territorio. Tarì tre per ogni quintale di Ceci, e frutti Mandra prodotto dallo
Bestiame de’ Singoli, tarì due per ogni salma di Segala prodotta nel
territorio. Tarì uno per ogni salma d’orzo come sopra. Tarì uno per ogni
Salma di Vini mostali. Tarì uno per oncia sopra li fondi ed erbaggi. E sopra le
vendizioni, e permute di ogni genere di ferro, panni, lana, e lino. L’officio
di Mastro Notaro Civile, e criminale detto dell’Acata pania. Inoltre furono
ipotecati N° 121 fondi rustici, ed urbani di spettanza di molti de’ Singoli
che concorsero, nell’atto Soggiogatorio insieme al Giurati, Sindaco, e
Deputati, situati li detti fondi descritti in dettaglio in detto atto nei
territori di Linguaglossa, e Castiglione, e come che i Singoli godeano allora il
diritto di pascere, seminare, ed altro nell’ex feudo di San Basilio, e Baronia
di Fiumefreddo anche questo diritto fu sottoposto ad ispeciale ipoteca. Per
effetto della Prammatica del 1650 la superiore rendita venne ridotta dal 7: al 5
= per cento. Minorata la popolazione di detta Comune, e ristretto il territorio
per aversi popolate le vicine Comuni di Piedimonte e Fiumefreddo le superiori
gabelle ipotecate furono ridotte al N° di sette".([8])
Grandi
furono però le difficoltà economiche che seguirono alla Riduzione, anche e
soprattutto per gli avvenimenti che seguirono: "La felicità è come il
vino generoso che non regge di tutti onde non avendosi mantenere nella prosperità
mentre stavano dando il principio alla loro tragedia, incominciò Dio a far la
parte della sua giustizia; l’ammonì prima con una mortale epidemia
dell’anno 1646 che durata fino all’anno 1649 ne tradì non puochi. Indi
nell’anno 1659 a due febbraio ultimo dei giorni di carnevale, che quasi alle
due della notte li battè con una piena tempesta di grandini in parte grosse
quanto una noce, che avendo durato per lo spazio di tre ore, s’alzarono da
palmi tre sopra la terra. Ma sebbene con tutto il fracasso di molte case e
rovina dei tetti delle due Chiese una del convento di padri Carmelitani, ed
altra di San Francesco di Paola non avesse sortito morte veruno di gente li pestò
nondimeno tutta la campagna, e li caggionò una sterilità di più anni d’ogni
specie di frutti. E non avendo restato soddisfatto delle loro grandi penitenze
vi fecero per si grandissimo flagello anzicchè poi avendo maggiormente tornato
negli odii, la percorsa più d’ogni altra colla carestia dell’anno
1671".([9])
"Nel mese di gennaio 1671 per tutta la stagione ci fu una mal’annata
grandissima di fame che il frumento valse la più somma di unzi 16 la salma ed
il pane a capo cento con gran mortalità di persone. L’orio valse a tarì 9 il
tumulo. La germana valse a tarì 12 il tumulo, le fave valsero a tarì 10 il
tumulo”.([10])
Le grandi difficoltà che seguirono il Riscatto sono state descritte con grande
dovizia di particolari dal Notaio Fancesco Copani il quale nel suo poemetto “Linguaglossa nella carestia del 1672/73”([11])
in diversi ottave indica nel Riscatto la causa delle grandi difficoltà
economiche che il paese si trova ad affrontare, soprattutto in un periodo di
grande carestia.
Alla
fine del "Pianto" il Copani
si chiede la ragione di tanta disgrazia, e proprio l’atto eroico dei
linguagrossesi è per il Notaio atto inconsulto. In particolare nelle ottave 57
e 59 scrive:
E li sei mila scudi cu li paga
(57)
Falliu l’afflitta e scuntenti Citati.
Per
il Copani ‘li nostri antichi’ ebbero molta premura ed addirittura li chiama
‘matti’:
Pensaci beni quandu fai contratti
(59)
Non ti pricipitari cu puntigli
Cbistu lu fannu li pirsuni matti
Lassanu miserabili li figghi
Li nostri antichi ficiru sbaratti
E su ristati pizzenti e sinsigghi
Non c’è riparu li cosi su fatti
Foru pricipitusi li cunsigghi.
Probabilmente
il Notaio non ha poi tutti i torti ad indicare la causa della carestia e
dell’immane povertà che ne seguì nella riduzione al Demanio; infatti il
paese dovette sopportare grandi sacrifici, indebitandosi con molti messinesi che
lo avevano aiutato a raccogliere l’enorme cifra. Nell’ultima ottava del
"Pianto" il Copani prevede altre rovine per il paese, profezia che
ebbe la sua attuazione prima nel 1674/8 con la guerra che sconvolse tutto il
territorio della Val Demone, e poi nel 1693 con il terremoto che distrusse
Catania:
All’unnici di Jiannaru, a vintun’ura
Catania abballava senza sonu…
Molto
probabilmente il Copani non si riferiva a tali disgrazie ma bensì al fatto che
il paese ancora doveva pagare il debito contratto:
Di tutti li pirsuni intirissati
Ognuno cumparisci pri lu utressu
Gridanu tutti contra l’obbligati
La curti già ha piggbiatu lu pussessu
Di tutti li gabelli e di l’entrati
Avanti chi li sbirri hannu l’ingresso
Fujemu pri un muriri dispirati.
Ni su di setti, dui mila arristati.
È
strano che il Copani parli di sette mila abitanti nel periodo della carestia, la
popolazione in effetti non doveva superare di molto i 4.200 abitanti stante il
censimento del 1651 dove si contavano 4.107 abitanti. Nel censimento del 1681
erano 3.487 ed in quello del 1714 erano 2.257.([12])
La
carestia era stata il preludio di altre disgrazie, aveva causato la morte di
circa settecento persone e ne aveva fatto emigrare circa mille e cinquecento nel
nuovo paese di Belvedere (Piedimonte Etneo): "Che allettati della
franchiggia e d’altri commodi Baronali tirati ancora dall’amore delle vigne
da essi piantate in quel territorio andavano a folla ad abitare come alla
giornata".([13]) Alla fine del secolo gli abitanti erano circa 2.300.
A causa di tutto ciò ben poche furono le rate che vennero rimborsate, così i creditori che da nove erano nel frattempo diventati oltre quaranta, le quote erano state nel tempo divise per donazioni, per lasciti testamentari, per vendita ed altro, ricorsero in Tribunale per avere finalmente il pagamento delle loro spettanze. I creditori vinsero la causa ed il Comune fu costretto a saldare il debito: “Intendenza della Provincia di Catania; Ufficio Primo; Carico; N.; Oggetto; Ferdinando Secondo per la grazia d’Iddio Re del Regno delle due Sicilie di Gerusalemme e Duca di Parma, Piacenza, Castro, ec. Gran Principe Ereditario di Toscana. In Catania il giorno ventotto Novembre dell’anno milleottocento ventotto; Il Consiglio d’Intendenza della Valle ha emesso la seguente decisione. Gli infrascritti Creditori soggiocatari con loro dimande presentate nella Cancelleria del Consiglio di questa Intendenza han chiesto la liquidazione del loro annuo rispettivo credito per soggiogazione ai termini del Real Decreto del dieci Novembre 18diecinove, ed analoghe istruzioni avverso la Comune di Linguaglossa nelle seguenti epoche e nella rata annuale di ciascuno cioè: Sotto il dì 15 Luglio 1820 registrata al N. 171 del registro:
Il
Principe di Colle reale per annue
onze 206:14:
5:
Il
reclusorio delle Vergini di Messina
147: 8:14:
Li
P.P. Teatini di Messina
99:17:
5:
Don
Francesco Stagno
7:15:
Don Emmanuele Tuccari
41:
9:14:
Don
Francesco Salesio Reganati
40:
Il
Convento del Carmine di Linguaglossa
18:
Dottor
Don Antonio Previtera col nome proprio
17:11:10:
Il
suddetto come Marito di Donna
Francesca
Puglia
13:29: 3:
Don
Pietro Marino
13:18:
Sacerdote
Don Giuseppe Previtera
3:14:
1:
Madrice
Chiesa di Linguaglossa
3:11:
8:
Don
Matteo Catizzone
6: 2:
Don
Giacomo Donato e Curlando
6:21:
Sacerdote
Don Filippo Puglia
5:15:
Don
Rosario Puglia
7:29:
Monastero
di Santa Chiara di Messina
7:22:10:
Don
Rosario Reganati
2: 6:14:
Conservatorio
di Santa Elisabetta di Messina
5:22:10:
Don
Francesco Castrogiovanni La Guzza
2:
8:14:
Principe
della Mola
35:
Don
Placido Tsaja
50:
Donna
Francesca Castelli
7:18:
4:
Convento
dei P.P. Cappuccini in Linguaglossa
2:26:10:
Convento
di Santa Teresa di Messina
6:20:
Don
Gregorio, e Suor Catarina Puglia
18:
Don
Rosario Stagnitti
3:14:
1:
Suor
Carmela Previtera
5:
Signor
Principe di Spatafora di Palermo 108:
Signor
Principe di Villafranca
9:13:
6:
Sig.a
Principessa di Butera assentata
col
nome di Principessa di Leonforte
8:18: 6:
Contessa
Carinola
1:28:
6:
Conte
Don Luigi Bisagnani
14: 4:10:
Don
Placido, Don Giovanni, e Don
Giuseppe
Bandiera, Don Emanuele,
Don
Giuseppe, Don Vincenzo, e
Don
Giuseppe Arezzi
8:27:12:
Donna
Aloisia Migliorino
21: 7:10:
Don
Ferdinando Mannino
5:23:18:
Marchese
Foti
40:
Don
Antonio Vecchio quale Amministratore di
Donna Carmela Vecchio e Puglia sua figlia ... 9: 4:
1008:29: 9:
Sotto
il dì sette Luglio 1820, con la dimanda
Registrata
al N. 52, del registro il Marchese
Don
Alfonso Spatafora
148:
Sotto
il dì 15 detto mese, ed anno con dimanda
reg.
al N. 152: Sac. Don Filippo Puglia
5:15:
Sotto
il dì 28 Febbraro 1823 al N. 305 del
Registro D.a Maddalena Orzi Bertolucci
8:17:10:
Onze
- 1171: 1:19:
Nel 1634 La Comune di Linguaglossa volendosi
sottrarre dalla Potestà Barona, e ridursi al Regio Demanio previe le debite
sollennità, e l’assenzo Viceregio contrasse l’annua soggio-gazione di onze
mille quattrocento settantasci, tarì dodici, grana due, e piccoli due, per
lo capitale di onze ventunmilo centoquattro, cioè colli Signori
Da. Anna Rizzo, Spatafora
onze
224.
Francesco Cicalà
onze
728.
Dr. Dn. Francesco Antonio Costa
onze 70.
Giovanni
Tuccari
onze
153.
D. D. Mario Giurba
onze 28.
D. Giovanni Arces onze 59.
D. Giuseppe Vomeo, e Federico
Aragona e Sardo
onze
126.12.2.2.
Giacomo Maria, e Da.
Flavia Spinola
Scarcella
onze
10.15. .
Onze 1476.12.2.2.
Per
effetto della Prammatica del 1650 la superiore rendita venne ridotta dal 7 al 5
per cento. Minorata la popolazione di detta Comune, e ristretto il territorio
per aversi popolate le vicine Comuni di Piedimonte e Fiumefreddo le superiori
gabelle ipotecate furono ridotte al N. di sette cioè. Tarì tre sopra ogni
salma di nocella. Tarì uno per oncia sopra l’esitura. Grano uno a rotolo
sopra la carne, o pesce. Tarì uno sopra ogni salma di frumento che produccasi.
Tarì uno per ogni salma di vino-mosto. la Bilancia ed il nuovo imposto. Nel
1703 avendo ricorso li Giurati di detta Comune al Tribunale del Real Patrimonio,
ed esponendo lo stato miserabile della Comune chiesero il rimedio onde
soddisfare quanto si doveva alla R.C. e Deputazione del Regno, e suoi
assegnatari per censi, e soggiogazioni, non che alli creditori soggiogatari per
la riduzione di quella Comune al Regio Demanio, perchè non fossero molestati
sino a tanto che venendo migliori tempi potessero pagare intieramente il totale
loro avere. In seguito del quale ricorso venne sciolto il Patrimoniale Dispaccio
in data del 9 Ottobre 1704 registrata come sopra, col quale si prescrive che
cogli introiti della Comune dovessero in primo loro pagare la R.C. Diputazione
del Regno assegnatari, e Salari irrepensabili, e di tutto quello che avanzerà
soddisfarsi li creditori Soggiogatari a ripartimento che gli tocca in forza dei
loro Contratti, e Scritture.
In esecuzione intanto della legge amministrativa
degli 11 Ottobre 1817, ed istruzioni del 10 Novembre 1819 essendo stati
soppressi alcuni dazii detti di estrazione, e non essendosi dalla Comune
surrogati l’equivalenti dazii sulla consumazione fu ad istanza del ridetto D.
Placido Oliva qual Procuratore del Sudetto Signor Principe di Colle-Reale e
Compagni maggior parte dei Creditori Soggiogatari istituito un giudizio avanti
questo Consiglio d’Intendenza, col quale chiese di arbitrarsi dal Consiglio
medesimo l’annua somma da fissarsi in surrogato delle gabelle soppresse dette
di esitura giusta il coaceno decennale del fruttato delle stesse a norma della
legge per il soddisfo dell’annua Soggiogazione, e per gli arretrati che la
somma sudetta annua da arbitrarsi sia assegnata sopra cespiti solidi, ed
immancabile di essa Comune colle stesse obbligazioni, ed altro che trovarsi
espressate nell’atto Soggiogatorio, e che tanto sugl’introiti di qualunque
Cespite di essa Comune, quanto sopra l’annua sudetta somma d’assegnarsi
siano pagate alli di lui costituenti le rate dell’annua Soggiogazione alli
medesimi rispettivamente dovuta. Su della quale petizione intese le repliche per
parte della Comune sotto il 4 Gennaro 1822, il Consiglio tenendo presente un
certificato di quel Cancelliere Comunale in cui dettagliatamente per ogni
cespite si fa conoscere l’annua rendita che dalli dazii espressamente
descritti nel Soggiogatario, ed ogii dalla legge abboliti, se ne è ritratta dal
Coaceno decennale tirato dal 1810, e 1811 a tutto Agosto 1820 la somma di onze
cinquecento cinquantasette, e tarì dieci con decisione registrata in Catania li
13 detto mese al N. 1364, ordinò che a luogo la domanda dello attore Oliva col
nome intorno al rimpiazzo della rendita dei dazii aboliti dalla Legge, che dal
coaceno decennale resta fissata dal Consiglio nell’annuale somma di ducati
Mille Seicento Settantadue, e grana dieci che deve indiffettibilmente coprirsi
dalla Comune colla imposizione dei dazii sul generi di consumazione da
surrogarsi alli aboliti, e che per tutte le altre domande, se ne rinvia la
decisione alla presente liquidazione ordinata dalle Reali Istruzioni del 10
Novembre 1819. Risposta per parte della Comune. Don Giovanni Brancaleone colla
qualità di Procuratore di D. Filippo Reganati Sindaco della Comune di
Linguaglossa ha esposto con sua documentata domanda presentata il 31 Ottobre
1826: = 1°. Che
nel 1633 fu eletto dalli Giurati, e Sindaco di Linguaglossa, e di una
Deputazione all’oggetto eretta da Marcantonio Stancanella, onde rinvenire le
somme per liberarsi dalla podestà Baronale e ridursi al Regio Demanio quella
Comune, e formare una Soggiogazione al sette per cento con la condizione che
infra un anno venisse confermato dalla M.S. ed indi il 3 Febbraro di detto anno
si sciolsero le lettere patrimoniali permissive. Che rinvenute dal Sudetto
Procuratore le somme stipulò presso le tavole di Notar Gregorio Comunale di
Messina sotto il 29 Febbraro 1634 l’atto Soggiogatorio contro la sudetta
Comune, e glialtri costituenti a favore degli attori dei mentovati Creditori
Soggiogatari la somma di onze mille quattrocento settantasette tarì otto, e
grana otto annuali per capitale di onze ventunmilo cento quattro al sette per
cento sotto la condizione contenuta in detto Biglietto Vice Regio. Che questa
Soggiogazione fu indi ridotta ad onze mille quattrocento quarantacinque tarì
cinque, e grana quattro annuali per effetto di due riduzioni fatte una in
capitale di onze quattrocento da Don Mario Giurba, e l’altra in capitale di
onze due cento cinquantotto, e tarì venti d’altre persone, e finalmente si
ridusse ad onze mille e trentadue annuali stante la riduzione al cinque per
cento per la Prammatica del 1650. Che sebbene nell’atto Soggiogatorio del 1634
comparisce l’obbligazione, e l’ipoteca di molti fondi di diversi Singoli di
Linguaglossa, pare fu contratta sotto condizione di risolversi ed estinguersi
tastochè la Comune tornava al Demanio, e la Municipalità ratificava la
Soggiogazione, ed ipotegava li beni Comunali, ed ex baronali, e le gabelle
d’imporsi locchè si verificò, e frattanto nel 1678 il Regio Fisco avendo
incorporato tutti i beni dei Messinesi fra i quali la suddetta Soggiogazione che
dovevasi ai Creditori di Messina per pochi attrassi dalla stessa nel 1681
distrusse N. 120 immobili proprii di diversi individui di Linguaglossa
ascendenti ad onze ventiduemila, quale incorporazione più nulla, perchè
l’obbligazione ed ipoteca de’ beni contratta da quei Singoli si risolse, e
si estinse per essersi verificate le condizioni risolutive, ed in ogni evento il
valore di detti beni distrutti estinse il capitale della Soggiogazione, quale
non essendo stata insinuata in Linguaglossa non poteva esperirsi contro quei
Singoli come terzi possessori. Che nel 1703 non potendo la Comune soddisfare
l’intiera rendita, la Regia Corte per via della Giunta delle confische stabilì
doversi ripartire le somme che invitava per conto di detti creditori, non
ostante che i medesimi riclamavano l’intiera rendita, ma di porzione di essa,
non è il caso di pretendere la liquidazione del titolo. E finalmente, che la
Soggiogazione sudetta è nulla sul motivo che il frutto fu convenuto al sette
per cento, e non si avverò la condizione della conferma di S.M. infra l’anno,
e perciò resto semplicemente mutuo, che trovasi estinto col pagamento dei
frutti che debbono imputarsi nella sorte, e debbono i Soggiogatari restituire
esatto il soprapiù; conchiudendo per la incompetenza del Consiglio per
dichiararsi nulla la soggiogazione, ed estinto il capitale coi frutti
indebitamente pagati e condannarsi gli attori alle spese.
-
Segue a questo punto la sentenza -
- Il Consiglio -
Visti tutti i documenti debitamente registrati nelle
dimande rispettive degli attori e della Comune. intesi li Procuratori di ambe le
parti. Visto l’originale registro degli assenti di detti creditori fatto
chiamare dalla Cancelleria Comunale di Linguaglossa. Visti gli atti discussi
delle passate gestioni e del corrente esercizio. Inteso il Segretario Generale
Cavaliere Don Gaetano Sertorio esercente le funzioni di Pubblico Ministero che
oralmente ha conchiuso che sia liquidata l’annua rendita per onze mille
trentadue, e tarì sei per causa della Soggiogazione sul cinque per cento
unicamente agli arretrati”.([14])
In realtà questa non fu la sentenza che chiudeva l’annosa questione
della soggiogazione, ancora dovevano passare quasi vent’anni
prima che tutto si concludesse. Il Comune fece degli enormi sforzi
finanziari per poter pagare il debito ma riuscì solamente a pagare metà dello
stesso, è per questo motivo che tutte le risorse finanziarie e tutte le
proprietà vennero sequestrate in attesa del definitivo pagamento. Seguirono
anni di grandi difficoltà economiche, addirittura i cittadini non potevano
esercitare i loro diritti sul bosco Ragabo, addirittura non potevano neanche
tagliare un albero dal bosco. Questo spinse il Decurionato con a capo il Sindaco
Don Giuseppe Antonio Pafumi a decidere il 10 settembre 1835 a cedere parte del
bosco bastante a coprire il debito restante. La transazione venne stipulata
nello stesso anno ed approvata il 26 febbraio 1839.
In
attesa dell’approvazione del transatto alcuni signorotti riuscirono a farsi
pagare quanto loro dovuto, per esempio Donna Antonia Ferrara vedova Reganati e
Donna Francesca Puglia vedova Previtera ricevettero la somma di 450 ducati, ed
ancora alla Chiesa Madre venne dato il frutto per vent’anni di un noccioleto
di proprietà del Comune, quasi tutti i proprietari linguaglossesi riuscirono ad
avere quanto loro dovuto.
Con
la stipula a Messina del transatto si chiudeva, duecento anni dopo, il
contenzioso tra il Comune ed i creditori soggiogatari. La scelta fatta dai
Decurioni di cedere parte del bosco Ragabo per pagare il debito fu senza dubbio
fra le più azzeccate. La parte di Bosco che venne ceduta ricadeva nella zona
che si trovava a sud del Monte Frumento delle Concazze fino alla zona di Monte
Crisimo, ai confini con il territorio di Piedimonte Etneo.
[1] Sardo Sardo Vincenzo, Castiglione. Palermo, Tip. Vena, 1910.
[2] Cancelleria, Vol. 586, fol. 39. Archivio di Stato di Palermo.
[3] Luogotenente di Protonotaro, Volume 69, fogli 859 retro. Archivio di Stato di Palermo.
[4] Protonotaro del Regno, Vol. 536, fol. 177 retro. Archivio di Stato di Palermo.
[5]
Luogotenente di Protonotaro, Volume 69,
foglio 871. Archivio di Stato di Palermo.
[6] Luogotenente di Protonotaro, Volume 69, foglio 867. Archivio di Stato di Palermo.
[7] Real Segreteria, Incartamenti, Filza 2448. Archivio di Stato di Palermo.
[8] Copia sentenza del 1828, Archivio Reganati, Linguaglossa.
[9] Anonimo, Storia di Linguagrossa. Manoscritto della fine del XVIII sec., Archivio Previtera, Linguaglossa.
[10] Prescimone Giuseppe, Riscatto del mero e misto impero. Manoscritto del XVII secolo, Biblioteca Valdicanense di Castiglione di Sicilia.
[11] Copani Mannino Giuseppe, Linguaglossa nella carestia del 1672/73. Linguaglossa, Tip. Alongi. 1909.
[12] Longhitano Gino, Studi di storia della popolazione siciliana, vol. I, Ed. C.U.E.C.M. Catania 1988.
[13] Anonimo, Storia di Linguagrossa. Manoscritto della fine del XVIII sec., Archivio Previtera, Linguaglossa.
[14] Copia sentenza del 1828, Archivio Reganati, Linguaglossa.
[15] Reclus Eliseo, La Sicilia e l’eruzione dell’Etna nel 1865, Relazione di viaggio, Ed. B&B, 1999.
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