SAN ROCCO
IL SANTO PELLEGRINO
Montpellier. Francia
Verso l’anno 1350. Si è in piena guerra dei Cento Anni, la grande
peste che durata oltre due anni e che ha decimando più di un terzo della
popolazione occidentale europea è prossima alla fine, da quasi 40 anni il
papato e la curia romana si trovano ad Avignone. Montpellier, con oltre 40.000
abitanti, è una delle più grandi città del sud della Francia, ha una delle
università più famose d’Europa ed attira una massa di studiosi soprattutto
di medicina. Il commercio florido è favorito dalla sua vicinanza dal mare e dal
porto di Lattes, si svolge soprattutto con le città più floride del nord
dell’Italia, ma su tutte con le città genovesi.
Tutti i pellegrini, sulla strada per San Giacomo di Compostella, si
fermano a Montpellier a pregare nella chiesa di Notre-Dame-des-Tables
per venerare una Madonna nera; San Francesco d’Assisi vi si è fermato per un
certo periodo, mentre Sant’Antonio di Padova vi è rimasto per due anni, ed in
seguito i suoi Frati Minori nel 1320 vi hanno fondato un convento. È in questo
contesto storico che nasce San Rocco.
Data della sua nascita
Per alcuni autori San Rocco nasce nel 1295, in modo da poterlo collocare
in Italia tra il 1315 ed il 1320, periodo durante il quale una grande epidemia
di peste decimò il paese. Gli autori che sostengono questa ipotesi lo fanno non
solo per retrodatare la divulgazione del suo culto, ma soprattutto per mettere
in secondo piano altri celebri guaritori, come San Sebastiano o San Fabiano.
Il linguaglossese Francesco Lipari, autore di un libretto su San Rocco,
addirittura ne pone la nascita al 1284. Altri ancora nel 1327 per poter inserire
San Rocco nel pieno della Peste nera che nella metà del XIV secolo decimò un
terzo dell’Europa occidentale.
Alcuni studiosi pongono la nascita all’anno 1348 o 1350. Sono senza
dubbio alcuno le due date più probabili della sua nascita. Per fugare ogni
dubbio sulla data certa della nascita di San Rocco dobbiamo fare una
considerazione molto importante. Il papato è rimasto ad Avignone dal 1309 al
1377, è anche vero però che Papa Urbano V ritornò a Roma e vi rimane dal 1367
al 1370, sarà in seguito Papa Gregorio XI che ritornerà definitivamente a Roma
il 17 gennaio 1377. Allora se è vero che San Rocco incontrò a Roma Urbano V,
è imperativo che si trovasse lì durante il soggiorno romano di Urbano V, se è
così allora la sua nascita e da porre tra il 1348 ed il 1350. Il maggiore
studioso del santo, Francoise Pitangue nel suo lavoro del 1980 “Nuovo
contributo allo studio della vita autentica, della storia e della leggenda di
San Rocco” pone la nascita del santo all’anno 1350. Viste le varie ipotesi
è da concludere, senza alcun dubbio, che San Rocco nasce nell’anno 1350.
Il suo nome
Altro punto oscuro su San Rocco è il suo nome, o meglio il suo cognome.
Gli indirizzi principali sul suo cognome sono due. Il primo lo indica proprio in
Rocco, mentre il secondo in “de-la-Croix”. La prima ipotesi nasce dal
fatto che il padre si chiamava Jean-Roch, quindi Rocco di cognome, rifiutando in
questo modo l’ipotesi di chiamarlo Roch de-la-Croix, troppo ovvio per i
sostenitori di questa ipotesi affermare che de-la-Croix (della Croce) è
il cognome di Rocco che aveva un segno a forma di croce sul petto, e da qui
Rocco della Croce. Se prendiamo per buona questa ipotesi, allora ci troveremmo
per la prima volta nella storia della chiesa ad avere un santo chiamato con il
suo cognome e non con il suo nome di battesimo. Non è solo un fatto insolito ma
eccezionale. Tale ipotesi è rifiutata categoricamente dai Bollandisti che
affermano “tale ipotesi porterebbe ad una radicale revisione della vita di San
Rocco”. Gran parte degli archivi di quel periodo sono andati distrutti in un
incendio nel XV° secolo. Solo attraverso alcuni documenti scampati al rogo e
relativi ad alcune famiglie di Montpellier e soprattutto attraverso l’albero
genealogico della famiglia Castries la quale fa risalire la propria origine in
linea diretta alla famiglia de-la-Croix che si trova un riferimento a
Rocco de-la-Croix; è proprio a questi documenti che la maggior parte degli
storici fa riferimento quando indicano in de-la-Croix il cognome di San
Rocco. Comunque, sempre il Pitangue pur accettando detto cognome rifiuta ai
Castries la discendenza da San Rocco.
I
genitori
Suo padre, Jean-de-la-Croix, era governatore della città di Montpellier
sotto i re di Majorca della Casa di Aragona che allora avevano fra i loro domini
anche la città francese, sua madre si chiamava Liberia ed era nata a Cesena.
Entrambi erano molto religiosi e soprattutto devoti alla Vergine nera venerata
nella chiesa di Notre-Dame-des-Tables.
La chiesa di Santa Maria di Montpellier, conosciuta già dal 1090, più tardi
venne chiamata Notre-Dame-des-Tables -
Nostra Signora delle Tavole - tavole dei commercianti e dei banchieri) era la
chiesa del popolo dove i signori di Montpellier giuravano fedeltà agli usatici
locali.
Ormai avanti negli anni, non avendo figli, pregavano la Provvidenza e la
Vergine nera affinché esaudissero il loro grande desiderio. Le loro preghiere
vennero ascoltate ed ebbero in dono un figlio, un figlio che già alla nascita
era segnato dal segno della croce, impresso prodigiosamente sulla sua pelle
delicata. Questo segno di croce non è negato da nessun storico, per alcuni è
segnata sulla spalla o lo stomaco, per altri e sono la maggioranza la pongono
sul petto. Era il maggio 1350.
Infanzia
e educazione
L’adolescenza è l’età fra le più importanti della vita di un uomo,
di sovente decide, in grandi linee, quale sarà il resto della vita, il futuro.
L’adolescenza è come il mese di maggio portatore delle speranze primaverili,
nuovi fiori, nuovi odori, nuove gemme, è la vita che rinasce dopo il lungo
riposo invernale, ma tutto può cambiare all’improvviso, un vento impetuoso o
una pioggia violenta possono trasformare il tutto, le nuove gemme scosse dal
vento cadono e non daranno frutto alcuno, una pioggia violenta porterà frutti
malati. Un’adolescenza senza il giusto calore e senza affetto porterà ad una
visione distorta della vita, al contrario un’adolescenza piena d’amore, di
calore umano, di giochi, di serenità, di spiritualità porterà alla vera
essenza della vita. Rocco cresce con l’amore dei suoi genitori, nella serenità
del suo stato sociale, e madre incaricata della sua educazione, da buona
credente gli porta la parola del Verbo incarnato.
La madre legge spesso i “fioretti” di San Francesco, legge insieme a lui il suo libro di
preghiere, lo indirizza al rispetto ed all’amore verso i più poveri e verso i
diseredati. Sin da bambino Rocco viene attratto dal messaggio rivoluzionario,
sia morale che spirituale, dei Frati Minori che già dal 1320 avevano un loro
convento a Montpellier. La preghiera e la penitenza diventano sempre più parte
della sua vita.
Nel 1361 una nuova grande epidemia di peste falcia il suo paese. Oltre
500 persone muoiono in pochi giorni. Con la madre sempre accanto a lui va in
giro per la città a portare aiuto. Un giorno nella periferia di Montpellier,
tra case dirute e derelitte incontra diversi bambini, hanno la sua stessa età,
sono scalzi, malnutriti e ammalati, prega allora la madre di ospitarli nella sua
casa, li nutre, li veste, li cura. Ancora bambino prende conoscenza che tutte le
ricchezze del mondo sono vane quando manca l’affetto e l’amore dei genitori.
Questa grande tragedia lo segna per la vita, lui sarà cavaliere di Donna
Povertà e combatterà come San Francesco, il Poverello,
per l’amore.
Per desiderio del padre a 14 anni si iscrive all’Università nella
facoltà di legge per così seguirne in futuro le orme. Non delude le
aspettative del genitore ma lui vuole imparare altro, comincia così oltre al
corso di diritto un corso di medicina, sa che questa è l’unica materia che
gli permetterà di aiutare i poveri, i malati, i diseredati. Passa il tempo
libero aiutando nell’ospedale del paese o andando nelle case degli ammalati a
portare loro cibo, medicine, ma soprattutto conforto e la serenità data dalla
parola di Cristo. Non ha ancora compiuto 15 anni quando muore il padre, “Mio
caro figlio, mettiti al servizio di Cristo. Sii buono con i poveri, visita e
conforta i malati, perchè loro sono fratelli di Gesù”. Appena due anni
trascorrono ed anche la madre lo lascia. Rocco rimane solo, dai suoi genitori ha
ricevuto l’amore e l’affetto cristiano, la testimonianza della carità, sono
stati per lui la prima scuola di santità. Poco a poco nasce in Rocco il
desiderio di servire completamente i suoi fratelli in sofferenza, di fare come
San Francesco, liberarsi dei beni di questo mondo e cercare la vera ricchezza,
la ricchezza interiore, la ricchezza in Cristo. Passa il suo tempo a pregare la
Vergine nera. Indifferente agli agi e agli onori dati dal suo rango decide di
abbandonare gli studi e seguire con tutto il suo essere la parola di Cristo:
"Se vuoi essere perfetto, vendi tutti i tuoi beni è dona i soldi ai
poveri ed avrai in cambio un tesoro nel regno dei cieli.” Vende così
tutti i suoi averi e distribuisce i soldi ai poveri, ai malati, a conventi ed
ospedali. Il resto dei suoi beni, quelli della successione li dà in gestione
allo zio paterno. Continua sempre a dare ospitalità ai romei di passaggio da Montpellier per il santuario di San Giacomo di
Compostella. Ospitare un pellegrino, era una delle cinque opere di misericordia.
Passato poco tempo dalla morte della madre Rocco è pronto ad intraprendere la
sua vita di pellegrino.
Con l’autorizzazione dalle autorità ecclesiastiche
Rocco è pronto a partire per Roma, dove vuole ritrovare le tombe dei primi
testimoni della Resurrezione di Cristo, San Pietro e San Paolo. Riceve dal
vescovo di Maguelemme la benedizione per se e per tutti gli elementi della sua
tenuta da pellegrino: una tunica grigia (il sanrocchino, mantello corto, di
solito di tela incerata) e un mantello di velluto nero, una pellegrina nera ed
un cappello a larghe falde con conchiglie di San Giacomo di Compostella, un
bordone, una bisaccia con dentro il libro di preghiere, una “rosario”, una
scodella per il cibo e due grosse conchiglie, una a forma di cucchiaio e
l’altra per chiedere l’elemosina ed infine il bastone per aiutarlo nel
cammino. Ritorna a Montpellier saluta i suoi parenti e lascia per sempre la sua
amata città, va a pregare per l’ultima volta la Vergine nera nella chiesa di
Nostra Signora delle Tavole. “Addio, mia città, mia infanzia, tutto mi è così
caro che mi accompagnerete nel mio lungo viaggio, vi avrò sempre nel mio
cuore”.
All’alba di un giorno del 1317 Rocco lascia la sua città, non sa
ancora che non la rivedrà mai più, i guardiani a difesa delle sue mura
riconosciuto in lui non Rocco il figlio del Governatore ma Rocco il romeo lo
esortano di pregare per loro il grande padre San Pietro.
Ad
Acquapendente
Attraversate le Alpi, Rocco, si avvia lungo la via Romea tirrenica, che
passando da Genova e Siena conduceva a Roma. La sua prima vera tappa è Siena,
per incontrare Caterina, già famosa per le sue visioni e per le sue idee di
riformatrice della chiesa, la stessa non aveva cominciato ancora il suo
ministero pubblico. Entrambi moriranno nel 1380, forse alla stessa età. Durante
il suo soggiorno senese Rocco viene a conoscenza che ad Aquapendente c’è
ancora un grosso focolaio di peste che sta mietendo vittime senza fine.
Considerando il fatto che la cittadina si trova sulla via per Roma, egli parte
senza indugio alcuno. Dopo pochi giorni di viaggio giunge alle porte della
cittadina ma un cordone sanitario gli impedisce di entrare. Lui sa che è lì il
suo posto, è lì che potrà mettere in pratica la promessa fatta al padre.
Chiede allora al direttore dell’ospedale, un certo Vincenzo, di lasciare che
lui lo aiutasse nella cura e nell’assistenza dei lebbrosi. Il direttore
rifiuta categoricamente il suo aiuto, ma lui insiste, gli dice di essere anche
lui un malato e che ha bisogno di cure. Non potendo rifiutare un malato,
Vincenzo lo porta in ospedale.
Una visione terribile appare all’improvviso agli occhi di Rocco, malati
e moribondi riempiono le stanze all’inverosimile, viene preso da grande
sconforto, ma la sua grande volontà e la sua fede nel Cristo guaritore di ogni
male gli fanno superare quel difficile momento. Si avvicina ai più ammalati, li
conforta, cerca di lenirne la pena, li aiuta a mangiare, li cura per quello che
può, non ha alcuna paura del contagio. Una mattina dopo aver ancora pregato si
avvicina ad un moribondo e con la mano destra fa il segno della croce sulla sua
fronte, al suo tocco il malato sente però che la vita riprende in lui. Sia alza
dal suo letto e con voce giuliva comincia ad urlare: “Quest’uomo mi ha
guarito, miracolo, miracolo”. Tutti gli altri ammalati volgono lo sguardo
verso di lui, chiedono anche loro aiuto e carità. Tutti, al tocco delle mani
miracolose di Rocco si alzano gridando “Miracolo, miracolo”. Rocco è
stupito, incredulo, spaventato, non comprende quello che gli sta succedendo, non
sa ancora di essere stato mandato dal Signore per liberare gli infermi dal Male.
Tutta la città venne liberata dal contagio e Rocco divenne il loro eroe,
il loro salvatore, gli volevano dare onori ed onorificenze ma lui aveva ricevuto
già il più grande dei doni, aveva ricevuto il più grande dono che un uomo
possa desiderare, l’amore del Signore. Di notte e di nascosto a tutti Rocco
riprende il suo cammino per Roma.
A
Cesena
Roma è vicina, qualche giorno di cammino ancora, ma
lungo la via incontra altri romei che gli raccontano che a Cesena la peste non
accenna a diminuire e che è tutta una tragedia. Senza indugio alcuno Rocco
torna indietro e si dirige a Cesena dove risiedono alcuni membri della famiglia
materna. Per il timore di essere riconosciuto non dà il suo nome a chi glielo
chiede, lui dà loro in cambio pace, serenità e soprattutto la desiderata
guarigione. Ancora una volta tutta la città riconosce in lui il salvatore, come
prima ad Acquapendente anche a Cesena si preparano onori ed onorificenze, ma
ancora una volta Rocco è sulla via per la città Eterna.
A
Roma
È un’ora tragica per l’Italia quando Rocco la visita. Guerre
intestine tra paesi confinanti, tra signorotti desiderosi di espandere i propri
confini, tra famiglie guelfe e ghibelline, ma soprattutto la peste. La peste era
diffusa dappertutto nel territorio italiano, portata dalle truppe di ritorno
dalle crociate si diffonderà in seguito per tutta l’Europa. Morte orribile
quella dell’appestato, appena pochi giorni dopo il contagio, atroci sofferenze
lo conducevano alla morte. Un semplice contatto, l’aria stessa, gli animali,
la sporcizia sono il veicolo ideale per il contagio. Le città si spopolano, chi
non è stato colpito ancora spera di trovare riparo nelle campagne dove ancora
il male non si è diffuso. Gli ospedali sono sovraffollati di ammalati, sorgono
in questi anni diversi istituzioni di carità, come gli Antonini, i Frati del
Santo Spirito, l’Ordine di San Lazzaro, le infermerie vengono chiamate, Casa
di Dio, Ostello di Dio, e sono generalmente fuori le mura di ogni città,
insieme agli ospizi ed agli ospedali è il luogo dove i pellegrini possono
trovare riparo durante il loro viaggio.
Rocco giunge a Roma in un momento così nefasto, ma nello stesso tempo
pieno di speranze, il Papa Urbano V era ritornato già da due anni dall’esilio
di Avignone. Rocco è speranzoso come lo è Caterina da Siena o il Petrarca ma
nel 1370 appena tre anni dopo il suo ritorno a Roma il papa è costretto dalle
fazioni romane contrarie e dai signorotti che lo minacciano continuamente a
lasciare la città Santa e ritornare ad Avignone. La permanenza di Rocco a Roma
è di oltre tre anni. In questi anni continua il suo apostolato, visita gli
ospedali, i lebbrosari, ma visita tutte le chiese, le catacombe, i luoghi del
martirio dei primi cristiani, ma soprattutto sosta continuamente a San Pietro.
La sua fama di guaritore lo segue ovunque lui vada. Il Vescovo Gaillard
impressionato dalla santità emanata da Rocco diventa il suo protettore e lo
ospita per quasi tre anni nella sua casa. Un giorno lo stesso vescovo, colpito
dal contagio, chiede a Rocco di tracciare il segno della croce su di lui, per
essere protetto dalla mano del Signore. Rocco prontamente segna la croce sulla
sua fronte, ed il vescovo è così libero dal male. Il vescovo per ringraziarlo
gli dà la possibilità di incontrare Urbano V, questi impressionato dalla
spiritualità emanata da Rocco, gli dice: “Mi sembra che tu venga dal
Paradiso”.
Rocco continua anche dopo la partenza del Papa a girare per la città per
dare quel conforto e quell’amore che mancava ai poveri ed agli ammalati. Alla
morte del vescovo Rocco capisce che è giunta l’ora di partire, e che non c’è
più ragione di restare a Roma. Con la sua bisaccia ed il suo bastone prende la
via del ritorno.
Il
ritorno
Lasciata Roma, Rocco prende la via per Assisi, vuole pregare sulla tomba
di San Francesco. Rimane ad Assisi per un pò di tempo, sempre in preghiera
sulla tomba del “Poverello”, ma non manca però di continuare
nell’assistenza dei malati, sia in ospedale che in giro per la città e le
campagne circostanti. Ritorna indietro alla sua fanciullezza, ricorda la madre,
ricorda le serate passate davanti al fuoco a leggere i “Fioretti”. La
madre gli è accanto, prega con lui, è uno dei momenti della vita di Rocco più
pregnanti di meditazioni e preghiere.
A
Rimini
Lasciata Assisi, Rocco si dirige verso Rimini dove la
peste continua a mietere vittime. Alcuni autori pongono la visita ad Assisi e la
sua permanenza a Rimini dopo la sua partenza da Cesena, ma è più probabile che
questa sia stata la strada del ritorno, considerando anche le città dove in
seguito rimarrà. A Rimini come nelle altre città da lui visitate Rocco si
mette a disposizione dei poveri e degli ammalati, e non parte che dopo aver
donato loro la salute. Lasciata Rimini si incammina per la via Romea adriatica,
quella che da Rimini conduceva ad Adria. La città successiva è Novara e poi
Piacenza dove il contagio aveva raggiunto proporzioni eccezionali.
A
Piacenza
Giunto a Piacenza va nell’ospedale di Nostra
Signora di Betlemme, attinente alla chiesa di Sant’Anna ed implora la Vergine
della Pietà a sostenerlo ancora nella sua opera. La città come le altre al suo
passaggio viene liberata dal morbo, ma ecco che avviene qualcosa di
inspiegabile, il guaritore di ogni male viene colpito dal contagio, un
“bubbone” vicino all’ano appare all’improv-viso, è un triste presagio.
Il bubbone pestifero nasce normalmente sotto le ascelle o nelle vicinanze
dell’ano, dà un dolore intenso e bruciante. È verosimile che gli artisti
abbiano rappresentato il male sulla gamba di San Rocco per ragioni di pudore.
Rocco è preso da alta febbre, da spasmi e continui vomiti, la sua giovane
figura è scossa da fremiti, Rocco sente che la fine è prossima, non sopporta
che il suo dolore sia di disturbo agli altri ammalati, decide allora di
allontanarsi dall’ospedale e uscire fuori dal paese. Con un ultimo sforzo si
trascina in un bosco vicino, trova una grotta vi si rifugia dentro, un mucchio
di foglie secche gli fanno da cuscino. Si prepara a morire. Non riesce neanche a
parlare, le labbra sono secche per la grande febbre, all’improvviso vede
scendere dal cielo una nube che toccato il suolo fa sgorgare una fonte.
L’acqua è l’unico sollievo che ha, lava la fronte e la ferita, la febbre si
abbassa, il dolore diventa più sopportabile. Estenuato dal dolore, debole per
il non nutrimento si addormenta.
Gottardo
Passano i giorni, la febbre è quasi scomparsa, ma la
fame attanaglia le sue viscere. Una mattina Rocco viene svegliato da un fruscio,
sente che qualcosa si sta avvicinando a lui, da dietro il cespuglio appare un
cane, con il suo allegro scodinzolare gli si avvicina, lo annusa, lo lecca, si
fa accarezzare, poi come era arrivato scompare. Ritorna poco dopo con un pezzo
di pane in bocca, lo deposita fra le mani di Rocco e gli si accuccia accanto.
Rocco comprende che la provvidenza non lo ha abbandonato, e ringrazia Dio per
l’amico che gli ha dato. Per molti giorni la scena si ripete, il cane
all’ora di pranzo si presenta sempre con del pane. Rocco a poco a poco
riprende le forze. Nelle vicinanze della foresta si trovava la residenza di
campagna di un signorotto di nome Gottardo Palastrelli, il quale si era li
rifugiato per sfuggire la peste. Questi nota che ogni giorno all’ora di pranzo
uno dei suoi cani preso il pane che lui gli dà scappa via e scompare per molte
ore, ritorna solo quando è sera. Incuriosito da questa scena decide allora di
seguirlo, e dopo poco camminare arriva davanti la grotta, facendo molta
attenzione per non farsi scoprire vi si avvicina e nascosto dietro ad un
cespuglio vede qualcosa che lo sorprende non poco, il cane è vicino ad un uomo
disteso per terra che sta mangiando il suo pane. Vede il cane accucciato ai
piedi dell’uomo e questi che lo accarezza dolcemente. Incuriosito decide di
farsi vedere, ma Rocco vistolo lo avverte di essere ammalato e di avere la
peste. Allora Gottardo preso dalla paura scappa a più non posso. Però quella
notte per Gottardo non fu una notte come le altre, non riusciva a dormire, aveva
sempre dinanzi agli occhi quella scena. Capì che quell’uomo non era un uomo
qualunque, vince la paura del contagio e decide che l’indomani di buon mattino
sarebbe andato a trovarlo. La mattina successiva si avvia verso la grotta dove
Rocco riposa serenamente, lo sveglia e gli dice che lo vuole portare in ospedale
per poterlo curare meglio, ma Rocco oppone un rifiuto alla sua proposta.
Gottardo in seguito gli porta delle coperte, ed ogni giorno gli porta del cibo.
Rimane con lui a parlare per ore, Rocco gli racconta la sua vita, il suo amore
per Gesù, la sua missione. A poco a poco il sentimento religioso di Gottardo
viene fuori, diventa un allievo fra i più fedeli, pende dalle parole dolci di
Rocco, capisce allora quali sono i vantaggi di una vita più armoniosa, di una
vita in Cristo. Decide allora di diventare anche lui un pellegrino, vende tutti
i suoi beni, dà i soldi ai più poveri e dopo aver ricevuto la benedizione dal
suo fratello Rocco si avvia verso la città Santa per trovare quella serenità
interiore che non aveva mai avuto.
Rocco rimane così da solo, ma un giorno mentre era seduto fuori dalla
grotta vede che moltissimi animali si avvicinavano a lui, capisce che erano
tutti ammalati, si mette ancora una volta a pregare e subito dopo con il segno
della croce benedice tutti gli animali, lui figlio di San Francesco aveva
guarito i suoi fratelli. Anche Rocco era guarito.
Era giunto il momento di ripartire, prese le sue misere cose Rocco si
avvia verso casa.
La
sua morte
Alla morte di Urbano V, il papa che aveva attuato il ritorno a Roma sia
pure per un breve periodo, viene eletto ad Avignone l’ultimo papa francese,
Gregorio XI, il quale comprende che non si può più rimandare il ritorno
definitivo del papato a Roma, nella sua sede naturale. Ma il ritorno era
ostacolato dalle condizioni politiche poco favorevoli che regnavano in Italia,
soprattutto la guerra contro Bernabò Visconti, al quale Gregorio XI dava anche
la colpa di ostacolargli i suoi progetti di crociata, sempre per il possesso di
Bologna, base per i Visconti alla politica di espansione verso la Romagna e la
Toscana. La lotta fu aspra e lunga. Gregorio XI riuscì a formare una lega
contro il Visconti, ma conseguì pochi apprezzabili risultati. Caduta Bologna in
mano ai Visconti il Papa manda in Italia una compagnia di soldati di ventura
Bretoni, al comando del Cardinale Roberto di Ginevra, rimasto famoso per
l’eccidio di Cesena. Ma questi non riuscì a passare in Toscana. Fu Caterina
da Siena che andata ad Avignone convinse il Papa a non ritardare ulteriormente
il suo ritorno a Roma. Convinto che quella era l’unica azione da fare per
riportare la serenità e la pace nel dominio pontificio Gregorio XI decide di
partire per Roma dove arriva il 17 gennaio 1377. Pochi giorni dopo il suo arrivo
Firenze e la lega delle città ribelli iniziarono i preliminari della pace.
A
Voghera
Partito da Piacenza nei primi mesi del 1375 Rocco si
avvia verso la sua ultima tappa. Rocco si trova proprio in mezzo alle lotte tra
il papato ed i Visconti. I francesi non sono ben voluti nelle zone che lui deve
attraversare per tornare a casa. Mentre attraversa la Lombardia nelle vicinanze
di Voghera viene scambiato per spia al soldo del papato e quindi arrestato.
Viene condotto dal Governatore e questi interrogatelo riceve in risposta che lui
è un umile servitore di Gesù Cristo, ma la risposta viene equivocata e il
Governatore decide di mandarlo in prigione. Rocco rimane in carcere per quasi
cinque anni. Sono anni di grande sofferenze, solo in una cella buia ha come
compagnia soltanto le preghiere a Dio. Non svelerà mai il proprio nome, e
quando sente che l’ora della sua redenzione è vicina chiede che gli venga
mandato un prete per ricevere il sacramento del perdono. Il prete arrivato
davanti la cella vede che questa è inondata da una luce intensa, e che il
prigioniero risplende di una luce ancora più intensa. Lo confessa, gli dà
l’Estrema Unzione ed il viatico, ma vede nelle parole del prigioniero, nella
serenità del suo volto, la presenza di Cristo. Va via sconvolto, corre dal
Governatore per dirgli che nella sua prigione tiene un santo uomo. La cella
rimane aperta, il guardiano è lì estasiato da quella visione. È la mattina
dopo il giorno dell’Assunzione, si sente nella cella una voce angelica:
“Rocco, è arrivato per me il tempo di presentare la tua anima a Dio. Se tu
hai un desiderio, questo ti verrà concesso”. Rocco chiede per se il perdono
dei suoi peccati, e chiede a Dio di guarire tutti quelli che lo invocheranno.
Serenamente Rocco chiude gli occhi. È il 16 agosto 1380.
Nel frattempo il Governatore saputa la notizia dal prete confessore vuole
incontrare il prigioniero ma arrivato nella cella capisce che è troppo tardi,
il guardiano dice di aver sentito una voce chiamarlo Rocco, incuriosito il
Governatore guarda il petto del giovane e scopre il segno della croce, capisce
così che è Rocco il guaritore francese che tanto bene ha lasciato nei paesi da
lui visitati. Fa portare il corpo nella sua casa, e tutti nella città vanno a
vederlo e a pregare per lui.
Culto
e reliquie
Il suo corpo venne scoperto a Voghera nel 1467 e messo in una cassetta di
legno che ancora oggi si conserva in quella città. La notte tra il 24 ed il 25
febbraio 1485 i veneziani, provati dall’epidemia di peste, decidono di rubare
il corpo del santo e lo portano a Venezia. Nel 1489 per conservare degnamente il
corpo di san Rocco erigono una grande chiesa decorata dai più grandi artisti
del XVI° e del XVII° secolo.
Inizialmente il suo culto si svolge in Italia ed in
Francia, diventa così grande con il passare degli anni che san Rocco mette in
secondo piano santi guaritori come sant’Antonio Abate, san Fabiano, san
Lazzaro sant’Egidio e san Sebastiano. In Francia oltre 80 paesi venerano il
santo, è invece in Italia che san Rocco ha la sua maggiore venerazione. La
maggior parte delle città italiane hanno una chiesa o una statua del santo
guaritore. La prima festa in onore di San Rocco si svolse a Voghera nel 1382.
Ogni anno il 16 di agosto si svolgono grandi festeggiamenti in onore del
santo. Principalmente le città a lui legate lo ricordano con solenni
festeggiamenti, Montpellier, Voghera, Venezia, Piacenza, Acquapendente, e
Cesena. Particolare è la festa che si svolge a Palmi in Calabria quando i
fedeli “spinati”, per la loro cappa di spine che portano addosso, rievocano
la sanguinosa incoronazione di Cristo.
Altra festa importante si svolge nella provincia di
Caltanissetta, nella città di Bufera. La leggenda popolare racconta:
“La città era flagellata da terremoti e da peste, ed i cittadini in
preda al più grande terrore. Dio era sdegnato di loro e non v'era segno che la
sua clemenza volesse placarsi un istante; quand’ecco sulla spiaggia vicina
un'aura luminosa circondare una cassa, che, ballottata dalle onde galleggia
superbamente senza sprofondare mai. Un carro tirato da buon numero di buoi
s'indirizza alla spiaggia e raggiungendo la cassa come per incanto la solleva e
se la carica avviandosi verso la città. I buoi stanchi e riarsi dalla sete, si
fermano nella contrada SS. Cosimo e Damiano; l'acqua manca, ma, da un
circostante roveto ne scaturisce a profusione e gli animali si dissetano. Quel
sito divenuto sacro, prende nome di "Acqua di Santa Reliquia". I buoi
riprendono fiato e son presto a Butera, dove la curiosità spinge i fedeli ad
aprire la misteriosa cassa. Un nugolo di farfalle (parpagghiuna)
si solleva da
essa, che viene tosto rinchiusa. Nessuna sa darsi ragione del fatto; solo il
Papa, poco dopo dichiarava che le farfalle, giunte fino a lui, rappresentavano
il corpo di S. Rocco; si riaprisse la cassa e si tenesse conto di quel che vi si
troverebbe.
Figurarsi la
gioia dei Buteresi! La cassa fu riaperta, ma non ne vennero fuori più farfalle.
Vi si trovarono invece e si raccolsero in ricco reliquiario alcuni avanzi
mortali, - quelli di S. Rocco - che ogni anno, nel giorno della festa, si
espongono alla venerazione dei devoti.
Questa festa
ricorre il 16 Agosto, proprio il domani dell'Assunta; mai Buteresi vi si
preparano un buon mese prima con un viaggio
alla chiesa, che
offre loro l'occasione di una gradita passeggiata e di canzoncine piene di
slancio e di amore pel Santo. Una delle quali, certo non antica (San Rocco è
patrono di Bufera sin dall’anno 1583, in cui sostituì San Giovanni Battista),
né di fattura rusticana, dice così:
Oh billizza parziali
Di la chiesa universali!
Santu Roccu protettori,
Di Vutera è bonfatturi.
Durante la festa i devoti si legano al polso destro
un nastrino giallo e rosso, per preservarli da probabili infermità.”
Le
reliquie
Reliquie del santo si trovano in diverse chiese, a
Montpellier in una teca di vetro si trova la tibia sinistra prelevata dal corpo
del santo a Venezia il 24 luglio 1856. A Torino il femore sinistro, a Marsiglia
parte del cranio, ad Arles, a Voghera al momento del furto i ladri lasciano due
ossa con le falangi dell’avan braccio destro, a Granada alcune ossa, a Dubai
parte del cranio, a Parigi nella bella chiesa di san Rocco un osso del braccio
destro, a Roma nel 1640 venne data una parte del braccio sinistro alla
Confraternita di san Rocco. La maggior parte delle città e dei monasteri in
Europa hanno piccoli frammenti del corpo del santo.
Il
bastone di San Rocco
Prima della Rivoluzione Francese, il bastone di San Rocco si venerava
nella Chiesa di San Paolo a Montpellier. Nel 1617 Isabeau de la Croix diede il
bastone ai Trinitari. Durante la Rivoluzione il bastone scomparve, insieme ad
altre reliquie del Santo, e venne buttato nel fuoco. Fortunatamente delle mani
pietose riuscirono a strapparlo dal fuoco. Successivamente con la ripresa del
culto al Santo pellegrino, nel momento in cui la Chiesa di San Paolo prende il
nome di Chiesa di San Rocco, il bastone, o meglio il frammento del bastone
scampato al fuoco venne ridato nel 1872 al Cardinale de Cabrieres che lo restituì
alla chiesa da dove era stato rubato. Da allora il frammento viene conservato in
un tubo di vetro con la chiusura in oro. Il bastone era ridotto ad un terzo
della sua originale lunghezza la quale nel 1638 era di 3 palmi e mezzo, la parte
rimasta, con vistose tracce di fuoco e di appena 0,69 palmi. Il bastone venne
riconosciuto per quello di San Rocco perchè in alcune parti erano visibili
ancora i segni lasciati dal Santo durante le sue lunghe peregrinazioni, segni
che erano stati annotati nel 1640 e nel 1660.
A
Linguaglossa
San Rocco gode a Linguaglossa di una profonda
venerazione, ed è dalla metà del secolo scorso compatrono della città.
La prima notizia della chiesa dedicata a san Rocco si
ha in un documento del 4 ottobre del 1669 presso le Tavole del Notaio Antonino
Tarascona: “In quarterio Xare seu
Ecclesiae Iesus Marie e strata publica per quam itur ad Ecclesiam San Rocci”.
Nulla di preciso si sa della sua prima costruzione, molto probabilmente la
chiesa è della fine del 1500 quando in Europa e soprattutto in Italia si divulgò
il culto del Santo. Racconta la tradizione che la chiesa è sorta dove esisteva
una semplice icona viaria dedicata a San Rocco. La struttura della chiesa è
molto semplice, costruita fuori le mura in una zona che da pochi anni era stata
completamente sepolta dalla grande eruzione del 1566, l’eruzione che la
tradizione indica come quella in cui avvenne il miracolo di Sant’Egidio.
L’interno è molto semplice si trovano la statua del Santo scolpita nel 1890,
che sostituì il quadro raffigurante San Rocco, presso lo Stabilimento di
scultura di F. Gangi e R. della Campa di Napoli, per il prezzo allora
esorbitante di L. 750. La statua
arrivò a Linguaglossa il 29 marzo 1891, giorno di Pasqua, ma la semplice
chiesetta a causa delle abbondanti nevicate di quell’inverno minacciava di
crollare, quindi la statua venne portata nella Chiesa dei Cappuccini. Il 5
aprile la statua venne benedetta ed il 16 agosto, ormai i lavori nella chiesa
erano conclusi, la statua venne portata in tripudio nella chiesa dove oggi è
possibile ammirarla. Fino al 1898 la chiesa era una semplice cappella che
occupava solamente la parte dove oggi insiste la navata. Nel 1896 furono
iniziati dei lavori per allungare la chiesa, venne aggiunta allora la parte dove
oggi insiste l’abside. La chiesa è rimasta tale fino alla metà del secolo
scorso quando nel 1953 dei devoti decisero che era giunto il momento che il
Santo avesse una chiesa più decorosa. Venne innalzato il tetto della primitiva
chiesa così da portarlo all’altezza di quello del 1897. Appena 10 anni dopo
si fecero altri lavori soprattutto nella facciata che assunse l’aspetto
odierno. All’interno oltre la statua di San Rocco, si trova la statua della
Madonna del Rosario proveniente dalla Chiesa della SS. Annunziata, e la statua
del Cuore di Gesù. Nel catino dell’abside un affresco del 1965 con la natività
opera giovanile del linguaglossese Giuseppe Barone. Entrando a sinistra sulla
parete è una lapide del 1953 a ricordo dei benefattori che resero possibile
l’ampliamento della chiesa. Oggi la chiesa ha bisogno di urgenti restauri in
tutte le sue parti. Certo sarebbe bello, dopo il restauro affrescare le nude
pareti con scene della vita del Santo.
Negli anni 1672-73 a Linguaglossa, ma anche in tutta
la zona orientale della Sicilia vi fu una spaventosa carestia che in seguito si
trasformò in colera. La carestia fu a Linguaglossa di proporzioni eccezionali,
gran parte della popolazione morì non solo per la mancanza di cibo ma anche per
le miserevoli condizioni igieniche in cui versava il paese in quel periodo, il
Notaio Copani nel suo poemetto “Linguaglossa nella carestia del 1672-73”
nella descrizione che fa delle misere condizioni del paese nell’ottava 46 ci
descrive quale era la situazione del quartiere di San Rocco:
Stu quartieri è di tutti abbandonatu
Campa cu stenti travagli e sudari
E chiu d’ognunu si trova affamatu
D’irbazzi e la so pasta tutti l’uri
Ricurri a Santu Roccu so avvucatu
Acciò pregassi a Diu summu Fatturi
Chi non murissi ognunu dispiratu
E mitigassi un poco stu duluri.
L’ospedale
S. Rocco
Nel 1613 si inizia la costruzione di un piccolo Ospedale, grazie al
lascito di duecento onze da parte dei Signorino Vecchio,
che nel suo testamento, presso il Notaio Giovan Francesco Indelicato, del
18 maggio 1609, 7 ind. dava disposizione al
suoi eredi di costruire un ospedale per ospitare ed alloggiare i poveri ed i pellegrini che passavano dal paese. Se tale somma non
veniva utilizzata entro quattro
anni dalla sua morte, doveva essere destinata al "Convento dei Cappuccini
in questa terra a Dio piacendo da
fondarsi": “Item lo predetto voli et comanda alli suoi Heredi universali
che fra termini di anni quattro del giorno della sua morte innanti da contarsi,
habbiano e debbiano di pigliare onze duecento sopra la detta eredità ad effetto
con quelli comprarni onze venti di rendita a nome dello suddetto Hospitali come
di sopra a Dio piacendo da fabbricarsi per detti procuratori o giurati di questa
Terra: quali onze venti di rendita come di sopra da comprarsi, debbiano servire
per substentamento et mantenimento dello predetto Hospitali... itacchè se infra
il detto termine di anni quattro... il detto Hospitali non sarà completo et
fatto in ordine per alloggiamento delli Poveri e delli Pellegrini che passeranno
da questa predetta Terra, in tal caso dette onze duecento si abbiano da pagarsi
et applicarsi alla fabrica del Convento dei Cappuccini in questa Terra a Dio
piacendo da fondarsi... et questo per Dio, l'anima et remissione dei suoi
peccati imperocchè cossì ha voluto et li ha piaciuto et piace di fare, e non
altrimenti né in altro modo”.
L’ospedale
viene dedicato al Santo alla fine del 1800. Negli anni a seguire molti furono i
testatori che lasciarono dei legati all’ospedale. Emanuele Petroccitto, nel
suo testamento del 7 luglio 1820,
presso il Notaio Luigi Pafumi, dispone: “Lego a questo Venerabile Ospedale
quel Noccioleto e Terre nel Territorio di Castiglione che comprai da Don Pietro
Gisarra, come pure onze quattrocento di denari contanti... acciò venissero
alimentati e curati in esso Ospedale i poveri infermi, non solo nelle malattie
fisiche, ma anche Chirurgiche, che necessiterà soggiornare in detto Ospedale;
quelle persone però che per le malattie Chirurgiche avranno bisogno della sola
medicatura, si adibisca questa, senza residenza in esso, rimettendomi alla
caritatevole prudenza del Signor Medico e Signori Amministratori di esso
Ospedale, anzi se vi sarà persona di questa città infirma, o fisicamente o in
Chirurgia povera, che per giusti motivi non possa o non debba soggiornare nello
Ospedale, gli si dia qualche soccorso a misura della sua veritiera indigenza,
non solo per la cura che per il vitto”.
Qualche
anno dopo Francesco Salesio Reganati nel Capitolo ottavo del suo testamento, in
data 27 marzo 1824 presso il Notaio Luigi Pafumi, dispone: “Lego allo Spedale
de' Poveri di questa Comune Onze due e grana dieci annuali in perpetuo; i
deputati di esso Spedale devono in ogni anno spenderli in beneficio delli poveri
ammalati in suffragio dell'anima mia".
Questa bella tradizione è continuata negli anni fino
ad arrivare alla metà del secolo scorso, tra i benefattori vanno ricordati
Concetto Scarlata Mannino, il Sac. Girolamo Stagnitti Vecchio, Carmelo Previtera
Milana, Francesco Reganati Puglia, e il Dottore Ignazio Nicolosi per
l'ottocento; Gregorio Previtera Milana, Rosario Scarlata Puglia, il Dottore
Antonino Vecchio Milana, Francesco Milana Vecchio, probabilmente il più
munifico di tutti, Antonio Mannino Conti, Giuseppe Pafumi, Giuseppina Boemi,
Egidio Reganati per il novecento.
‘U
cuntu di Santu Ruccuzzu
Nta nu boscu c’era Santu Ruccuzzu ca facìa
penitenza. Era tuttu chinu di ghiachi di la pesti. Un gnornu ci annau un
angileddu pi sanallu. Ci annava puri tutti li matini lu canuzzu di lu Principi
Uttardu, ogni matina ci rubava nu panuzzu a li servi e lu purtava giuiusu a
Santu Ruccuzzu. Un gnornu lu Principi si n’accurgiu di lu pani ca mancava ogni
matina. Chiamau li so criati, li minacciau di licenziarli. Allura unu di iddi ci
dissi c’avia statu lu so cani, ca ogni matina s’avia purtatu un pani ‘ntra
lu boscu. Lu ‘nnumani Uttardu mannau un servu pi vidimi unn’è ca lu cani si
purtava lu panuzzu. Ma lu servu non potti annari appressu a lu cani, ca avia
scumparutu comu lu ventu. Ci pruvau diversi matini cu tutti li criati, ma senza
cunchiusoni. Na matina lu principi muntau supra lu megghiu cavaddu e via
appressu a lu cani ca s’avia purtatu lu solitu panuzzu. Lu cani trasiu ‘ntra
na rutta, e lu Principi dopo ca scinnìu di lu cavaddu, si avvicinau puru iddu a
la rudda.
Uttardu truvau un corpu ‘nzanguniatu, e quannu ci fu vicinu lu
scungiurau pi rispunnirici e dirici cu era. Ma ci rispunnivu l’anima, pirchì
lu corpu era mortu:
Sugnu un poviru piddirinu,
sugnu natu ‘ntra la Francia,
si non cridi a la me vuci
varda ‘npettu la me Cruci.
Di stu signu si canuscenu ca erunu cucini. Dopu tanti complimenti e tanti
storii Santu Roccu ci dissi a so cucinu ca vuleva essiri Patronu di Linguarossa
e prutitturi di la pesti. Di ‘ddu jornu Linguarossa fu prutiggiuta di la pesti
pi la ranni assistenza di Santu Ruccuzzu.
La
rivolta per San Rocco
Per capire quale è l'amore che i linguaglossesi
hanno verso il Santo basta ricordare quello che avvenne il lunedì del'11 agosto
1930. Si avvicinava la festa del santo e la chiesa era ancora chiusa per
disposizione del Vescovo. Verso le 19 oltre 200 donne si riuniscono in corteo e
si avviano dal Podestà e chiedono a viva voce la riapertura della chiesa, poiché
la loro protesta non conduceva a nulla si diressero verso la chiesa, forzarono
la porta e sostarono all'interno in preghiera come ad iniziare il triduo
preparatorio alla festa annuale del 16. Dopo due giorni il Prefetto intervenuto
a calmare gli animi diede disposizione che la chiesa venisse riaperta e la festa
spostata al giorno 24.
La
festa di San Rocco
Quasi tutti gli anni la domenica successiva al 16 di
agosto si celebra in onore di San Rocco se non la più antica, certamente la più
popolare delle feste, con il suo momento più coinvolgente quando sulle scale
della chiesetta vengono vendute all'asta
gli oggetti donati al Santo dai fedeli. A volte la rivalità tra i contendenti
fa raggiungere alla merce prezzi esorbitanti, e questo è dovuto soprattutto
alla bravura del banditore, il quale in un siciliano molto colorito riesce ad
ottenere un cifra sproporzionata al valore dell'oggetto. Sarà un caso ma ogni
anno durante l'asta le prime nuvole annunciano la fine dell'estate e non è raro
che qualche goccia salutare scenda a benedire gli astanti. Dopo l'asta segue
sempre " 'a scassati ê catusi
" la rottura dei cocci. Ad una
corda attaccata ad un albero per un capo e tenuta per l'altro da un uomo, viene
appeso un coccio di argilla cruda che oscilla con strani e bizzarri movimenti,
ad una altezza che varia da tre a quattro metri sul livello della strada.
"Sotto il coccio cinque o sei uomini si dispongono a piramide, tenendosi
avvinghiati l'uno all'altro; quello che con la sua testa fa da vertice, libero
nella braccia, spia, spesso con aria di studiata noncuranza, le oscillazioni del
catuso; poi, di scatto, sferra il pugno che nove volte su dieci va a vuoto
e scompone l'equilibrio della piramide umana. Ad ogni colpo fallito ad ogni
rottura di coccio, il cui contenuto varia dai fazzoletti all'acqua fresca, dalle
scarpe per bambini al nerofumo, dalle cravatte alla terra rossa, gli spettatori
trattengono il fiato, consigliano, fremono, motteggiano con fescennina salacità."
Fino a qualche anno fa altro momento di grande
coinvolgimento popolare era ('a cchianata
â ntinna) la scalata dell'albero
della cuccagna.
Oggi a più riprese si sta tentando di riprendere
questa antica tradizione. Altri passatempi erano la giostra, la “naca”,
il tiro al bersaglio, la “paria”,
era una specie di roulette rudimentale, il nome si riferisce forse al
rimescolare delle nocciole “pariari
o paliari” ed infine il crudele gioco della “merca ‘o jaddu”, “merca”
vuol dire bersaglio, un gallo vivo veniva appeso ad una fune e lo si faceva
dondolare, era il premio di chi lo avesse colpito per primo con una pietra, le
pietre erano naturalmente a pagamento. Verso il 1935 le due pietre costavano due
soldi. Lo stesso gioco si svolgeva anche durante la festa del Patrono, soltanto
nel quartiere “Casi Novi”, vicino all’altarino di Sant’Egidio di
pertinenza della casa della famiglia Greco.
È la festa del paese, ritornano gli emigrati, non solo per rivedere i propri cari, ma soprattutto, per rivivere la gioia della festa a San Rocco. La Villa Milana diventa l'anima della festa, si anima come non mai, tutta la Città è li a vivere e gioire di un momento che si porterà nella memoria per tutto l’anno. La festa religiosa per un lungo momento lascia spazio alla fantasia, al sogno di una notte di mezza estate.