SANT'EGIDIO ABATE

   IL SANTO PATRONO DI LINGUAGLOSSA

"Il culto di Sant'Egidio, a Linguaglossa è culto di un bastone di argento; talismano potente, che vale ad arrestare il fuoco della Montagna".

La chiesa dedicata a Sant'Egidio Abate è senza dubbio la più antica fra quelle esistenti a Linguaglossa.. Da recenti ricerche presso l'Archivio Vaticano si è riusciti a trovare le prime notizie dell'esistenza della Chiesa, infatti già nel 1308 esisteva, poiché questa doveva pagare la decima al Vaticano.  Nel foglio 111 al numero 886 delle decime degli anni 1308-1310 si legge: "Presbiter Iohannes cappellanus ecclesie S. Egidii de Lingua grossa", ed ancora per quanto riguarda Linguaglossa e sempre riferendosi alla stessa chiesa, nel foglio 103 verso al numero 524 si legge: " Cappellanus Lingue grosse tar. II" e nel foglio 107 al numero 671 si legge: "Cappellanus casalis Lingue grosse tar. I, gr. X".

Da questi dati si ricava quindi che la Chiesa di Sant'Egidio doveva esistere già alla fine del duecento, ed era certamente la Chiesa Madre del paese.

Non siamo in possesso di documenti che attestino la fondazione quindi bisogna andare per ipotesi. Due le ipotesi più accreditate. La prima ci rimanda ai Normanni, Linguagrossa nasce normanna nel 1145, ed in un atto del notaio Antonino Tarascona, uno dei pochi sfuggiti al rogo dell'archivio parrocchiale della Chiesa Madre che porta la data del 25 agosto 1669 si legge: "al principio della fondazione ed edificazione di questa città, alcuni del popolo videro il detto Santo in abiti pontificali e con in capo la mitra; giovandosi del suo pastorale, come di verga Mosaica, subito toccando l'ara infuocata, cioè la vulcanica eruzione precipitantesi dall'Etna e minacciando la Città, verso la Chiesa di essa, averla estin­ta, ed anco, permettendoglielo Iddio, averle imposto la legge di non scorrere più oltre e che giammai molestasse la città affidatagli". Proprio nell'area di provenienza dei normanni è più alto il culto verso il santo. Basti pensare che la grande chiesa dedicata a Sant’Egidio a Londra è proprio del periodo normanno. In Inghilterra oltre alle due grandi chiese di Londra, ST. GILES IN THE FIELDS e ST. GILES CRIPPLEGATE ci sono ben 146 chiese dedicate a Sant'Egidio, tutte del periodo normanno, dopo San Giorgio  è il Santo più popolare d'Inghilterra, a Lui sono dedicate strade, piazze, vie, scuole, oratori ed associazioni a carattere religioso.  

Altra ipotesi è quella francese o meglio Angioina. Nella seconda metà del duecento la Sicilia era sotto il dominio degli angioini. Carlo I d'Angiò, conte di Provenza, venne incoronato re di Napoli e di Sicilia da Papa Clemente IV, il quale ebbe i natali proprio nella città francese dove Sant'Egidio si stabilì, dove fondò un monastero e dove morì nel 726. Carlo I d'Angiò era anche nipote del re che promosse la seconda crociata, San Luigi, anche lui grande devoto di Sant'Egidio, basti pensare che andò nel 1270 nella basilica di Sant'Egidio a San Gilles a pregare sulla tomba del Santo per avere protezione prima della sua partenza per la seconda Crociata. Entrambe le ipotesi hanno certo fondamento storico, ma dire che fu l’una o l’altra dominazione è molto difficile.

A questo punto bisogna chiedersi, perché Sant'Egidio a Linguagrossa e non a Catania, o in qualsiasi altra grande città del regno. A questa domanda è molto difficile rispondere. Per cercare una risposta logica, l'edificazione di una chiesetta dedicata ad uno dei santi più importanti d’Europa in un piccolo borgo fra le selve dell'Etna dobbiamo qui ricordare che Sant'Egidio viene invocato per scacciare la paura, per le malattie nervose, per le convulsioni, l'epilessia, la pazzia, la paura della morte, contro la sterilità delle coppie, contro il morso dei serpenti, la febbre, il cancro, la lebbra ed altro ancora, è anche protettore dei bambini, delle nutrici, degli storpi, degli arcieri e dei soldati, dalla grandine, dalle tempeste, dalla siccità e non ultimo contro il fuoco. Forse chi decise di edificare una chiesa al santo taumaturgo, rimase impressionato dalla forza distruttrice dell'Etna, forse proprio in quel periodo qualche attività eruttiva, peraltro di poca entità, si dirigeva verso il territorio di Linguagrossa. È l’eruzione descritta dal Tarascona? Forse è proprio questo il motivo che spinse qualcuno a dedicare una chiesa a Sant'Egidio.

Vorrei qui ricordare che il culto a Sant'Egidio è molto grande in tutta Europa, basti pensare che in Francia  più di trenta paesi portano il suo nome, quasi tutte le città hanno una via o una piazza intestata a lui, in Austria, Germania, Belgio e Spagna ci sono più di 100 fra paesi e chiese che portano il nome del Santo, fatto singolare in Inghilterra ci sono ben 146 chiese dedicate a Sant'Egidio, dopo San Giorgio  e il Santo più popolare d'Inghilterra, in cambio in Italia le chiese o le città che portano il suo nome non superano la decina. A questo punto ci richiediamo come mai una Chiesa a Sant'Egidio "AD PEDEM AETNAE"? Forse un giorno potremo dare una risposta a questo interrogativo.

ICONOGRAFIA DEL SANTO

Anche se non sono molti i quadri dove è l'immagine di Sant'Egidio, questa è possibile riscontrarla in ben quattro chiese fra quelle esistenti oggi a Linguaglossa: Chiesa dell'Immacolata, Chiesa di San Francesco di Paola, Chiesa Madre e Chiesa di Sant'Egidio.

Nella Chiesa dell'Immacolata sull'altare maggiore è un grande quadro dipinto ad olio su tela di Frate Umile da Messina, il quadro è datato 1659 ed è certamente la rappresentazione iconografica del Santo più antica giunta fino a noi. Il quadro raffigura la Vergine Immacolata, in basso in atto di preghiera stanno Sant'Egidio, San Francesco, Sant'Agata e Santa Caterina.

Nella Chiesa di San Francesco di Paola nella volta al centro sta un grande affresco dove si riscontra l'Apoteosi del Santo, il quale ha alla sua sinistra Sant'Egidio. Questo affresco è attribuito a Giacinto Platania.

Nella Chiesa Madre nel coro ligneo e propriamente nello stallo corale di mezzo si trova l'Immacolata, Sant'Antonio di Padova  e Sant'Egidio che deposto il bacolo e la mitra estatico ne contempla la grandezza. L'opera è del 1728-1729. Altro grande quadro sempre nella Chiesa Madre rappresenta l'immagine iconografica classica che è giunta fino a noi, la rappresentazione del miracolo del 1566, in seguito al quale il Santo divenne il protetto­re del paese. Il quadro è detto di "Sant'Egidio e la Vecchia". Il Santo dal Cielo in abito abaziale circondato da angioletti e sostenuto da una nube appare alla vecchia paralitica che con tanto fervore lo aveva pregato, con il suo bastone miracoloso il Santo ordina alla vecchietta di alzarsi e camminare, è opera del pittore C. Tanasi del 1895.

Nella Chiesa dedicata al Santo, oltre alla sua statua si trova anche un piccolo quadro (oggi conservato nella Chiesa Madre) che rappresenta ancora il miracolo del 1566. Fra gli affreschi nella parete destra tra i padri della Chiesa dovrebbe esserci anche Sant'Egidio. 

Altre belle immagini del Santo si trovano  in  alcuni  'artareddi' che si trovano in varie località del paese. Forse il più  bello  ed interessante si trova ai margini del Vallone San Leonardo nella contrada Pomiere dove in un grande portale ai lati del quale sono affrescati due magnifiche immagini sacre. Nella  nicchia  a  sinistra  la  Sacra Famiglia mentre in quella a destra è la Vergine Immacolata con Sant'Egidio e Sant'Antonio di Padova. L'affresco della fine del settecento è molto  rovinato  ed ha  bisogno di un restauro urgente. Un altro 'artareddu' nella borgata Catena restaurato  recentemente ha una bella statuetta di Sant'Egidio. Altro ancora sempre con l'immagi­ne classica del Santo e la Vecchia si trova sulla Via Libertà all'angolo con il Piano del Calvario. Ed ancora del Santo si trovano piccole sculture in legno, in gesso o lavori su vetro e recentemente realizzate  da  un  giovane  artista Linguaglossese due opere di incisione su marmo, entrambe ricordano l'evento miracoloso del 1923, uno nella borgata Catena ed un  altro  nella  Via  Umberto  I.

Vicende storiche

Molte vicende legate alla nostra storia e alla storia della Sicilia in generale hanno avuto come scenario la chiesa di Sant'Egidio. In essa giurarono fedeltà alle consuetudini della città tutti i feudatari che tennero la Terra di Linguagrossa, a partire da Nicolosio Crisafi nel 1392 fino a giungere ad Orazio Bonanno che giurò di rispettarle il 14 febbraio 1606.

Due vicende storiche molto importanti hanno avuto come sfondo la Chiesa di Sant'Egidio: la rivolta dei soldati spagnoli del 1539 e il Miracolo del santo durante l'eruzione del 1566.

LA RIVOLTA DEI SOLDATI SPAGNOLI DEL 1538-39

Verso la fine del 1538 tutta la parte orientale della Sicilia venne turbata dai saccheggi e dagli assedi fatti dai seimila soldati spagnoli rimasti come guarnigione al forte della Goletta di Tunisi. Verso i primi di gennaio del 1539 i rivoltosi dopo aver assediato invano Messina e Milazzo si diressero verso l'inter­no e cominciarono ad assediare Randazzo. La maggior parte degli abitanti di Lingua Grossa visto il pericolo abbandonò la città e cercò rifugio nel bosco Ragabo, dove molti trovarono la morte per il grande freddo.

Il Viceré Gonzaga, non volle attaccare i rivoltosi per evitare ulteriori saccheggi e promise ai loro capi di perdonarli e di pagarli. Accettarono i congiurati la promessa e decisero che la funzione si svolgesse nella Città di Lingua Grossa e proprio nella Chiesa del nostro Santo Patrono, durante la funzione il Viceré giurò di perdonarli. A celebrare la messa fu il Padre Agostino Increpera, carmelitano. Mai giuramento fu così falso. Ritornati a Messina i due Capitani vennero arrestati insieme ad altri 24 rivoltosi, vennero tutti impiccati e gettati in mare il 29 aprile 1539.

L'ERUZIONE DEL 1566

Storicamente nessuna cronaca accenna a qualche eruzione che sia avvenuta nel territo­rio di Linguaglossa prima del fatidico anno 1 566, anno in cui per la prima volta si ebbe una grossa eruzione, certamente la pitii grande che sia avvenuta nel territorio, che in parte di­strusse il paese e che prese il nome dì "Lava di Sant'Egidio", perché la tradizione colloca in questa eruzione il miracolo del Santo.

Molto si è discusso circa l'anno di questa eruzione, il 1536, il 1556, oppure il 1566. La tradizione orale e scritta ha collocato questa eruzione al 1556, ma approfonditi studi e documenti nuovi hanno stabilito che l'anno esatto é il 1566.

In un atto del notaio Antonino Tarascona, uno dei pochi sfuggiti al rogo dell'archivio parrocchiale della Chiesa Madre nell'anno 1667, che porta la data del 25 agosto 1669 si legge: "A chi sarà per osservare, sentire, o legge il presente, sia noto, come questa diletta Città di Linguaglossa avendo scelto il glorioso Santo Egidio Abate per suo Titolare, Patrono e Protettore, in seguito al manifesto prodigio, che il grande Iddio degnossi di manifestare per la intercessione del detto glorioso Santo, il quale liberò e tuttavia non cessa d'intercedere e liberare dalle eruzioni del Monte Etna e da tutti i mali questa patria; come vien trasmesso da vetusta tradizione riferentesi al principio della fondazione ed edificazione di questa città, alcuni del popolo videro il detto Santo in abiti pontificali e con in capo la mitra; giovandosi del suo pastorale, come di verga Mosaica, subito toccando l'ara infuocata, cioè la vulcanica eruzione precipitantesi dall'Etna e minacciando la Città, verso la Chiesa di essa, averla estin­ta, ed anco, permettendoglielo Iddio, averle imposto la legge di non scorrere più oltre e che giammai molestasse la città affidatagli. E per tale protezione sempre questa città solennizzò la gloriosa festività dello stesso Sant'Egidio il 1° Settembre di ogni anno, a proprie spese, co­me chiaramente apparisce per le molte spese dei Mandati di questo Comune".

Un altro documento che tratta dell'evento miracoloso è quello redatto dal Sac. Fran­cesco Pafumi nel secolo scorso: "Pria che fosse edificata la nuova Chiesa Madre (1613) del nostro Comune, lo che verificossi nei primordii del secolo decìmo settimo, esisteva l'antica Chiesa Madre dedicata a Santa Maria (1510), ma che poi fu dedicata al nostro Santo Patro­no. In questa Chiesa da tempo immemorabile, in un muro esisteva l'effige del Santo in abito abbaziale con mitra e bacolo. Nell'anno 1556, una terribile eruzione dell'Etna, nei primi di Novembre, oltre del danno arrecato ad una gran parte del territorio, subissò l'intero paese.

In tal frangente, fuggiti i cittadini, restò in casa una vecchiarella paralitica abitante in vicinanza alla Chiesa e vedendosi il fuoco alle spalle a stenti trascinossi carponi alla Chiesa ed ispirata dal Signore invocò il nome di Egidio, ed oh portento! Egidio le è vicino, la tocca col bastone, le restituisce l'antico vigore e le comanda di suonare la campana della Chiesa per così richiamare i dispersi cittadini, assicurandola di essere cessata l'eruzione prometten­dole per l'avvenire la sua protezione; ritornano i cittadini, ed in decorso di tempo su quella stessa lava riedificarono le case, ed il quartiere dalla triste memoria del fatto viene chiamato tuttora con nome Saracenico di Sciara".

Proprio da questo documento si ricava la data del 1 556. La stessa data si trova alla fine di una strofa delle Lodi al Santo, scritte molto probabilmente dallo stesso Pafumi, che recita così

"Bruciavi, o patria

Tre seco/i sono;

E il Santo Patrono

Quel Fuoco smorzò.” (1556)

E sin d'allora Linguaglossa è stata risparmiata dalla lava:

"D'allora più lava

Quaggiù non è scesa.

Ci è muro e difesa

Di Egidio l'amor.”

Da tutti e tre i documenti il culto del Santo appare antichissimo, quanto al tempo del­l'eruzione dell'evento miracoloso, dal documento del Tarascona si ricava che avvenne "al principio della fondazione ed edificazione" del paese.

Forse si riferisce all'eruzione del novembre del 1169 che seguì il terremoto del quattro novembre che causò circa quindicimila vittime a Catania e nei dintorni, oppure qualche altra dello stesso periodo. E' chiaro che questa ipotesi sia senza alcun fondamento, dato che il culto del Santo venne introdotto in Sicilia durante l'i nfausto regno degli Angiomi, che va dal 1266 al 1282, e già allora Linguagrossa, si chiamava così a quei tempi, esisteva da oltre cen­to anni, stante il Privilegio di Ruggero lì del 1145. Ciò non esclude che  il culto del Santo nel nostro paese risalga a molto tempo prima dell'evento miracoloso. Da notare inoltre che il la­rascona parla di "Quidam popul i", cioè di popolani e non di una vecchietta paralitica a cui il popolo diede poi il nomignolo di « 'za Linguarossa». Negli altri due documenti, entrambi scritti dal Pafumi, si ricava la data dell'eruzione, novembre 1556, ma nessuno degli storici del periodo, il Fazello, il Maurolico o l'Omodeo che era della vicina Castiglione, il quale scrisse la sua opera tra il 1557 e il 1558, ne parlano. L'Omodeo accenna soltanto a quella del 1536 ma questa si diresse verso Randazzo e Bronte. Un altra eruzione si ebbe nel 1537, questa volta su Nicolosi. Ma vediamo che altri autori parlano di una eruzione nel 1 566. Ecco cosa dice l'Abate Francesco Ferrara: "Altra eruzione (dopo quella del 1537) facessi nel 1566 da una ingente voragine apertasì sopra Linguagrossa, la lava scorse lentamente e non durò che alcuni giorni". Anche il Rev. 6. Recupero parla di due eruzioni avvenute nel 1566. "Io però trovo in un antichissimo manoscritto, che si conserva dal Sig. D. Carmelo Ribizzi della Città di Randazzo, la seguente memoria. 'A primo Novembre 1566.giorno di venerdì sopra monte Forte alla Selletta di Collabaxia apparsero due bocche di fuoco, facendo un gran rumore, buttando sassi accesi a modo di botti, et corse sino li Nocelliti di Jannazzo'. Questi confini, cioè Jannazzo e Collabaxia sono nel Territorio di Randazzo, non già in quel­lo di Linguagrossa, e per conseguenza errano gli allegati scrittori (Bossio, Conti, Spondano, Samperi) nel dire, che Mongibello crepò allora nel Territorio di Linguagrossa". Ma prose-guendo il Recupero smentisce questa affermazione confermando che: "L'anno 1 566 nè pri­mi di Novembre sotto il monte delle Concazze nel bosco delle Lenze, territorio di Lingua-grossa, si apri nel fianco di Mongibeilo una voragine, dalla quale scorse una lava di poca estensione, e si formò un monte ben ampio, ma non troppo alto, di figura conica, alquanto concavo in cima, al quale diedero i Montanari il titolo di Caldaja dè Diavoli, e l'Incisore nella nostra Carta nominollo monte Cautara". Nell'affermare l'esistenza di un'altra eruzione nel 1566, il Recupero commette un altro errore, poiché il Bosco delle Lenze non si trova sotto il Monte delle Concazze ma bensì vicino al Monte Rosso, anche se poi l'incisore colloca al giusto posto le bocche da dove sgorgò la lava, e che tutt'oggi si possono vedere, dette appun­to Bocche di Sant'Egidio.

Anche Vito Maria Amico accenna a questa eruzione: "Anno X. lndict. 1566. mense Novembrìs die primo mensis ejusdem in Monte Aetna apertum est ingens, ac metuendum os supra regionem Opidi Linguaegrossae ex quo ignis ardentissimi fluvius horrificus egredi vi­debatur. . ."; ancora altri autori parlano di una eruzione avvenuta nel 1566, il Bossio, lo Spondano, il Conti ed il Samperi, e non parlano mai di eruzione nel 1556. Per ultimo per awalorare la tesi di una eruzione nel 1566 va citato lo studio fatto da Romolo Romano del C.N.R. di Catania e da Carmelo Sturiale dell'istituto Scienze della Terra, sopra le "Eruzioni storiche del Monte Etna" scritto nel 1982 e pubblicato nel 1983 dal C.N.R. di Catania, in lingua inglese. Questi due insigni studiosi della nostra comune "Mamma" descrivono con dati ben precisi questa eruzione, ed affermano che: "La città è costruita quasi interamente sulle lave di questa eruzione (1566).

Dai dati dell'eruzione si ricava che essa fu di grossa portata e che la lava arrivò in paese tagliandolo in due, sul lato sinistro, e che lo ricoprì in gran parte, anche perché il paese si trova ad una altitudine media di 500 m. Quindi scartate le date del 1536 e del 1556, si con­clude che la lava del venerdì primo novembre 1566 corrisponde all'unica eruzione storica del secolo decimosesto che arrivò a Linguaglossa e che quindi può essere riferita all'evento miracoloso di Sant'Egidio

L'ERUZIONE DEL 1809.

Altra grossa eruzione dell'Etna si ebbe nel marzo del 1809. Questa eruzione interessò oltre al territorio di Linguaglossa anche quello di Castiglione. lì 27 marzo verso mezzogiorno l'Etna, dopo sette anni di inattività, si risvegliò con una grossa esplosione. Una grande nube nera avvolse in pochi minuti la maggior parte della zona orientale della Sicilia, contempora­neamente una pioggia mista di pietre e ceneri si abbatté sul paese di Linguaglossa ed anche sui paesi rivieraschi fino a raggiungere la città di Messina. Dopo circa quattro ore la pioggia cessò del tutto, ma a terra aveva lasciato uno spessore di dieci centimetri di ceneri. Tutto sembrava essersi esaurito con l'esplosione, ma due giorni dopo nelle prime ore pomeridiane nella zona di Monte Rosso si aprirono diverse fenditure da dove sgorgò una lava molto liqui­da. L'eruzione durò appena dodici giorni ma fu tanta la lava emessa che questa può essere considerata fra le dieci eruzioni più grosse dell'Etna. L'eruzione del marzo 1809 fu la prima eruzione del territorio linguaglossese ad essere descritta dettagliatamente, proprio nel mo­mento in cui si svolgeva. Infatti ben tre documenti dell'epoca ci descrivono lo svolgersi della eruzione. lì documento più importante si trova conservato nei "Registri d'introito ed esito della Chiesa dei Santi Antonio e Vito di Linguaglossa" e porta la data dell'li aprile 1809, appena due giorni dopo la fine dell'eruzione. Altro documento, questo del 2 aprile 1809, si trova presso le tavole dei Notai Stagnitti e Garagozzo di Castiglione. Mentre il terzo docu­mento, del i O maggio 1828, è parte integrante della prefazione della "CQngregazione di San­to Egidio".

Basteranno questi tre documenti, qui riportati interamente, a darci l'esatto svolgersi di questa eruzione ed i danni che causò

11 Aprile 1809

"Mi faccio esito di onza una tarì ventidue e gr. quindici pagati cioè onza una e tarì di­ciannove al Maestro Carmine Buda, ed un manuale alla ragione di tarì sei il giorno per aver ambidue fatigato otto giorni continui in voltare le coperte della nostra Ven. Sac. e sagristia e Chiesa del PiI iere attesa la pioggia delle Pietre, bitume, e polvere seguita il giorno 27 Marzo Lunedì Santo dall'ore 12 sino quasi le ore sedici dopo varie scosse, che tempestosamente vomitò Etna in questa Città, e suo territorio e parte vicine, sino aver giunta la polvere in Mes­sina, e fu di spavento a noi tutti, talchè in penitenza fra l'angustie ed angoscie si portò per le strade di questa e nel Piano dè PP. Cappuccini il Glorioso nostro Santo Patrono 5. Egidio, il Patriarca S. Francesco di Paola, ed anche il nostro Glorioso Protettore 5. Antonio, che uscì dalla sua nostra Chiesa verso le ore sedici, e si portò nella Madrice Chiesa, ed allora ce­dette la pioggia sudetta e tutto il Popolo che piangeva dirottamente, che tale bitume si alzò quasi quattro dita in città ed in campagna in maggior quantità che induce andare a mirarla colla perdita dell'erbaggi e dè seminarii, precisamente in questo nostro Bosco, seguì poi a tal flagello una scossa orribile, che pose timore a tutti, e fragl'altri al celebrante della messa Cantata nella Madrice Chiesa, che bisognò assisterlo un altro Sacerdote per proseguire il Santo Sacrificio, ed io che scrivo ne ero testimonio presente, seguirono li tremoti ed alla fine il giorno 29. mercoledì Santo comparvero varie fenditure nelle falde del Monte Etna, e nella parte detta Monte Rosso territorio di Castiglione, ed una lava voraginosa di fuoco che divisa in diversi bracci pose nella più stretta costernazione questi abitanti e quei di Castiglio­ne, in breve fece il suo corso nel Bosco delle Germaniere con la consunzione di bellissimi ed annosi Roveri ed il Venerdì entrò nel luoco di vigne del Signor Barone Cagnone di Francavil­la in contrata del Piccolo, non poche furono le processioni di Penitenza, che d'ambidue Po­polazioni vi adibirono in tal ricorrenza, il Venerdì Santo la mattina, dopo le funzioni di Chiesa si fece la processione colle Sante Reliquie di Spina e Croce di nostro Signore G. Cristo, sino al Piano dei PP. Cappuccini, ritornati nella maggiore Chiesa, il Popolo unito al Primo Ceto si pose a gridare verso il Santo Patrono Egidio che colà si rinveniva, invocando pietà e portandolo su le spalle con ardente fervore, trascurando anche la necessaria rifezione del vitto, sendo l'ora di mezzo giorno, si portò in penitenza sino al territorio di Castiglione, e nella contrata così detta, Pietra perciata, ivi vi fecero delle preghiere, si commosse il Po­polo, e si ricorse alla Divina Misericordia ad interposizione del Santo, il Sabbato Santo verso poi dopo mezzo giorno si prese altravolta l'immagine di D. e Glorioso Santo Patrono, e si portò sino alla lava di fuoco orribilissimo; alla Croce di Cerro si fecero trovare li Castiglionesi che seco portavano l'immagine del Glorioso 5. Patriarca e Taumaturgo Giuseppe ed unite ambidue Effigie con di loro reliquie, e tutte le due Popolazioni si condussero innanzi la casi­na del Sig. Barona Cali di Castiglione, allo Rovittello nel di cui pervepne ascendendo il Arci­prete, che c~n tutti noi colà si era portato a piedi, di nome M.R. Sac. D. Casimiro Arces, predicò al Popolo, e compunto s'implorava misericordia, e pietà, si ritornò dalle Parti delle Germaniere verso la gt.a del Piccolo, e Casassa, e poi la Domenica giorno di Pasca, dopo pranzo li Castiglionesi tornarono sopra luoco in penitenza colla reliquia del Glorioso 5. An­tonio Abbate Patrono di quella abitazione, apparte che il Venerdì Santo avevano condotto il Velo di Maria Sempre Vergine della Catena, ed in questo giorno Domenica dipoi in questa città si usci in processione di penitenza Maria Vergine Immacolata e si condusse nella no­stra Chiesa di 5. Antonio, ove si intonarono, e proseguironsi per più giorni, e replicatamene le Preci, osia il Santo Rosario, il giorno Lunedì, sendo stato troppo rigido e con vento tem­pestoso, non permise tanto camminare, ma non si lasciarono le preghiere; il Martedì poi dopo pranzo si adibì un'altra processione di penitenza col Vessillo di Maria Immacolata nostri Santo Patrono Egidio e Protettore Antonio e di loro reliquie, un vessillo del Glorioso Patriarca 5. Giuseppe, altro vessi Ilo del Glorioso Patriarca 5. Francesco di Paola con sua re­liquia, ed altro vessillo dell'abitino di nostra Signora del Carmine colle reliquie, ed anche L'effigie di rilievo, ton sua reliquia del Glorioso 5. Antonio Abbate, e con grande divozione si portarono dal Popolo tutto unitamente al ridotto nostro P. Arciprete alla lava di tale fuo­co in g.ta del Piccolo, che scorreva dentro dette vigne del Signor Cagno ne, e stava per intro­dursi nel collaterale nocelleto dì me Emanuele Petroccitto, e di mio cognato D. Filippo Ra­gonesi, e da ivi scorrendo si temeva la totale distruzione dè Bellissimi Giardini di Nocelleti di Cerro, ed indi in proseguimento in questa nostra Contrada e Città, restino sicuri i Posteri che era un spavento vederla inoltrare, ed orrore il mirarla, e così potranno comprendere una piccola idea delle nostre angustie e tribulazioni, ordinariamente discorrendo a momenti se ne attendeva il distruggimento, ma Iddio benedetto colla sua infinita Misericordia, vendosi interposta la Bella e Grande Sua Madre Maria sempre Vergine e pura, e la mediazione dei suoi Servi Gloriosi Santi che ivi sopra luoco con lagrime il Popolo interpose dopo le recite del Santo Rosario, e Litania, ed inni, ed orazioni di essi Santi, e M. Gloriosa del Carmeli, diede la sua onnipotente ben?dizione, dando principio a quietarsi talchè quando temuto che la notte si fosse Lavato, e coperto il nocelleto, pure l'indimani Mattino Mercoledì primo d'udienza, entrò nel medesimo non con tanta rapidezza talché di grado in grado cessando, si compiaccque Iddio Benedetto farlo in esso giorno Mercoledì terminare, sendosi consunti pochissimi trofe di nocelli. Restano intesi i Posteri ad essere sempre grati, e memori di si gran beneficio, che portò nell'animo nostro ogni possibile impressione, sendo certi che era evidentissimo l'esterminio e la rovina incaricandosi che nel breve giro di quasi giorni otto occupò fa lava di fuoco sei miglia di longitudine e più d'un miglio proporzionatamente di latitudine, colla distruzione di più migliara d'oncie di terre, alberi, e vigne, biade e seminarii, e se non cessava, sarebbero questi individui nelle maggiori miserie mancandogli i fondi, e l'abitazione stessa; a memoria intanto futura ho scritto la presente, tralasciando tante altre circostanze che renderebbero più orribile la disgrazia, ma la manifestano la smisurata altezza di essa Lava, per cui sono occorsi a non puochi Inglesi, ed abitanti delle vicine ed anche ri­mote Città fino da Messina, Catania, Milazzo, e Siracusa". (E. PETROCCITTO

A due aprile 12 indiz. 1809.

"Dopo varie eruzioni del monte Etna avvenute nell'or caduto mese di marzo, una ve ne fu il mercoledì santo la sera 29 dello stesso, verso la ora una di notte. Si apri una gran vora­gine, con altre minori laterali, nel Bosco delle Ci rma nere, e contrada della Cercheria, la quale cominciò a vomitare delle terribili lave di fuoco, che produssero la devastazione della miglior parte del Bosco, di molte vigne e di terreni particolari. Pelle differenti direzioni, e velocità delle lave suddette, si temeva fondatamente la ulteriore devastazione della miglior parte dei beni di questi cittadini, e Io stesso temono i cittadini di Linguagrossa, per i di loro beni, e pella loro città medesima.

Vane processioni di penitenza si sono fatte dai Castiglionesi e da quelli di Linguag rossa ancora. Si unirono il sabato santo dopo pranzo, alla Croce di Cerro, i Castiglionesi colla sta­tua del Patriarca S. Giuseppe, e quelli di Linguagrossa colla statua di rilievo del loro Patrono S..Egidio; e con tale occasione il Rev.mo D. Casimiro Arces, Arciprete di Linguagrossa, accompagnato dal suo Clero e suoi Religiosi, ed unito a vari i del Clero, e religiosi di Castiglione col SS. Crocifisso alla mano, fece il discorso esortatorio alla penitenza".

Ragioni per cui si erige la Congregazione di Sant'Egidio Abate. 10 Maggio 1828.

"Una Eruzione delle più strepitose che fece l'Etna nel dì 27 Marzo 1809 nel Territorio di Castiglione, contrada Cercheria, o Dagla dei banditi, che chiamò ad osservarla non solo in­numerevoli Individui d'ambi i sessi da vicini e da lontani paesi, ma molti, e numerosissimi Inglesi degenti allora in Messina, ed in altre piazze in tempo delle occupazioni militari, che covrì di lave una considerevole parte del gran luogo del Barone Cagnone di Francavilla, e di altre parti minori di vani possidenti di Castiglione nelle contrade Vitalba, Rovettello e Pic­colo, e che minacciò da vicino le migliori possessioni in nocciuole di non puochi Linguaglos­sesi, stendà l'agitazione e il terrore su gli animi di tutti questi in guisa chetemendodi perdere anche le Case dì propria abitazione, altro rimedio non sepper trovare, che ricorrere alla pro­tezione di Santo Egidio Abate di loro principale Patrono.

Memori eglino mercè due atti pubblici e di una costante tradizione che nel 1566 fu liberata per patrocinio di questo Santo la loro Patria, già in picciola parte occupata dal vomi­to di quel monte, il quale giunto in puochì passi in distanza della Chiesa allora Maggiore, in cui veneravasi il Patrono, improvvisamente cessò; portarono il Maestoso di lui simulacro due volte su i luoghi ove era giunto il torrente delle lave accese, e ne ottennero a sentimento uni­versale, che nel giorno 7 Aprile dello stesso anno, quando la massa devoratrice, che precipì­tavasi verso i nocciuoleti per coprirlì come che nello stesso giorno in cui aveva incenerite molte querce robuste, quella stessa éhe quattro giorni dopo, allorché sembrava da più tempo smorzata la forza di agir tuttavia su di legni grossi e verdi di rovere, quali prendevano fuoco, ed accendevansi al contatto di quella, restò nientedimeno sospesa, e quasi pendola, lamben­do in due punti due cespi di Nocciuoìe, senza neppur abbrustolirli a tale che continuarono a germogliare, produssero in quell'anno il di loro frutto, come tutt'ora prosperano e fruttifi­cano".

L'ERUZIONE DEL 1865

Era trascorso appena un anno e mezzo dall'ultima eruzione dell'Etna (Luglio 1863) quando nel gennaio del 1865 questa cominciò a far risentire la sua presenza. Verso la metà del mese forti emissioni di vapore accompagnato da lanci di sabbie e ceneri, mescolate alle acque provenienti dallo scioglimento delle nevi formarono delle colate consistenti di fango. Queste colate di fango, che accadono di frequente durante le eruzioni invernali, quando l'Etna è tutta ammantata di neve, sono meno disastrose delle colate laviche, anche perché i danni causati sono per lo più riparabili. Basti pensare alla grande colata di fango del 9 mar­zo 1755, quando gran parte del bosco di Piedimonte e del Bosco Ragabo venne distrutto; la parte distrutta o danneggiata ricominciò a rinverd ire a distanza di più di vent'anni, la colata lasciò un solco largo, in certi punti, più di un chi lometro. Questa volta le colate di fango non furono granchè distruttive, ma le grandi emissioni di ceneri lasciarono presagire qualcosa di più grave. Infatti il 30 gennaio il versante NE del l'Etna venne scosso da due violente scosse sismiche, alle 12.00 e alle 16.30. Queste scosse pur non causando grossi danni alle cose al­armarono non poco il paese, che memore di altri terremoti più disastrosi si riversò tutto nelle strade. Verso le 22.30 dopo una notevole scossa sismica, alla base del Monte Frumento delle Concazze a quota i .825 si aprì una notevole frattura lunga circa un chi lometro, fino a 1.625 m. s.l.m. Dalla frattura ben presto si formarono sette bocche esplosive ed effusive, dette a "bottoniera", tali bocche in seguito formarono i così detti Monti Sartorius.

In un primo momento la lava sì diresse verso i Monti Arsi e percorse nei primi tre giorni quasi sette chilometri. In seguito la corrente lavica si riversò sul greto del torrente di Mascali dove si fermò l'8 febbraio sulle sciare di Scorciavacca a quota 800 m. Nel frattempo un altro efflusso lavico si diresse a nord di Monte Crisimo, in direzione di Linguaglossa, minacciando direttamente il Bosco Ragabo.

La popolazione, anche se l'eruzione era ben lontana dal paese, era tutta in grande agi­tazione, anche se fondamentalmente tranquilla. Non erano le case ad essere direttamente minacciate, ma la loro principale risorsa economica, il Bosco Ragabo. Diverse processioni religiose, guidate dal Sac. Antonio Grassi (allora a capo della comunità ecclesiastica lingua­glossese), vennero fatte dalla popolazione, ancora una volta il santo prescelto fu Sant'Egidio, il Patrono, ed ancora una volta si gridò al miracolo quando la lava dopo più di due mesi di eruzione si fermò a quota 1.175 m.

Ancora le lodi al Santo Patrono cantano questo miracolo:

"Nel sessantacinque

la lava furente

col cenno possente

di nuovo smorzò.”

Questa eruzione creò sì un danno al Bosco Ragabo, ma il danno fu salutato quasi con gioia da tutti i linguaglossesi, perché la parte distrutta ormai non apparteneva più al paese sin dal 1828, quand6 l'Amministrazione Comunale di allora con a capo il Sindaco Filippo Reganati dovette cedere una parte del bosco che ricadeva ai confini con il territorio di Pie­dimonte, nella zona del Monte Crisi mo, ai creditori soggiocatari che vantavano un credito di 21.104,00 onze che il Comune aveva contratto il 22 Febbraio 1634 per potersi liberare dalla potestà Baronale dei Bonanno e così ridursi al Regio Demanio. lì paese, anche se con lacrime di coccodrillo, pianse la perdita del bosco. lì restante bosco continuò a dare i suoi benefici fino a qualche decennio fa. L'eruzione continuò ancora a rilento, con pochissimi effluvi di lava, ma con grandi emissioni di vapori e scorie, cessò del tutto il 28 Giugno, dopo ben 150 giorni.

Negli ultimi 35 anni del secolo l'Etna eruttò ancora sei volte, ma nessuna di queste eruzioni interessò direttamente il territorio. Vanno ricordate le eruzioni del 1874 e del 1879 che, scaturite proprio ai confini del territorio, causarono non poche preoccupazioni ai Im­guaglossesì, soprattutto per i terremoti che da esse ne deùivarono. Soprattutto nel 1874 quando il 29 Agosto il paese alle quattro del mattino venne svegliato da una grossa scossa sismica, senza che questa causasse grossi danni. Le scosse si ripetettero per molti mesi anco­ra, ma nei primi quindici giorni di settembre furono così frequenti e notevoli che allarmaro­no molto il paese, che "ci obbligarono a formarci delle tende all'aperto per isfuggire il peri­colo che credevamo imminente in ogni istante". I restanti anni del secolo furono tranquilli per tutta comunità.


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